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La verità sull'imbroglio kazako

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"Libero" scrisse dell'espulsione il 6 giugno, nessuno s'indignò. La vicenda è stata montata all'estero per sabotare l'Eni in Kazakistan e per abbattere il governo

Andrea Tempestini
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A chi attacca Angelino Alfano, del destino di Alma Shalabayeva e della figlia Alua importa meno di zero. In questa faccenda delle 3 P - potere, petrolio e patrimonio - dei diritti umani in Kazakistan non frega niente. Ciò che preme a una parte della sinistra e alla maggior parte dei giornaloni è di buttar giù il ministro degli Interni, nella speranza che questi si porti dietro anche il governo delle larghe intese. La questione dell'espulsione di moglie e bimba di un presunto dissidente al dittatore Nursultan Nazarbayev si risolve tutta in un regolamento di conti nella maggioranza, fra renziani e lettiani. Nulla di più e se avrete la pazienza di seguirci ve lo dimostreremo. Come è noto il blitz alla ricerca di Mukhtar Ablyazov scatta la notte fra il 28 e il 29 maggio in una villa di Casal Palocco, nella periferia di Roma, e il 31 di maggio, due giorni dopo alle 19, Alma Shalabayeva e la sua bambina sono già su un aereo di una compagnia austriaca dirette ad Astana. Il legale della donna il 31 convoca una conferenza stampa per denunciare il fatto e qualche agenzia di stampa raccoglie le sue dichiarazioni. Il primo di giugno un cronista del settimanale Oggi, Giuseppe Fumagalli, racconta la vicenda sul sito del giornale per cui lavora e nell'articolo riferisce anche le dichiarazioni dell'avvocato Riccardo Olivo, il quale riconosce che «dal punto di vista formale è probabile che tutto sia fatto in regola», anche se denuncia che riconsegnando la donna al Kazakistan la si è messa nelle mani del boia del marito. Segue un lungo comunicato stampa in inglese inviato alle redazioni dei principali giornali: la nota, firmata dallo stesso Olivo, è redatta da una delle più importanti agenzie di pubbliche relazioni che operano in Europa, la francese Havas. Per smuovere l'opinione pubblica, da subito non si lesinano i mezzi: non solo i migliori Pr su piazza, ma anche uno degli studi legali più noti della Capitale. Ciò nonostante, a parte il sito di Oggi, quasi nessuno se ne occupa. O meglio: a parte il settimanale della Rizzoli e noi di Libero, che, a firma di Maria Giovanna Maglie il 6  di giugno scriviamo in prima pagina della vicenda. Qualche pezzo esce sulla stampa estera, in Gran Bretagna, in Austria e in Germania, ma in Italia sono tutti distratti. Del resto, a quello che accade nello sterminato Paese caucasico cronisti e politici sono da sempre poco interessati. Il nostro Franco Bechis ha provato a eseguire una ricerca nell'archivio dei principali quotidiani italiani per scoprire quante volte si sono occupati della situazione politica, dei diritti umani e della repressione degli oppositori al presidente Nazarbayev. Risultato: in dieci anni i pochi articoli usciti sul Kazakistan dimostrano che i nostri indignati speciali di ciò che accade ad Astana se ne impipano. Repubblica, che oggi scrive pezzi  accorati, poco più di un anno fa riferiva senza obiettare le dichiarazioni di Mario Monti, il quale, di ritorno da una tappa ad Astana, «apprezzava gli sforzi delle autorità kazake per riformare il Paese in senso democratico, consentendo a ben due partiti di opposizione di partecipare alla vita politica del Paese».  Ancor meglio sul Corriere, il cui inviato, dopo aver riferito del «suicidio» di un leader dell'opposizione spiegava che, «in una parte del mondo  in cui la democrazia non ha mai avuto casa e dove i Paesi confinanti, anch'essi ex sovietici, brillano per repressione, l'autoritarismo paternalistico di Nazarbayev  è quanto di meglio conceda al momento la storia: la stampa è abbastanza libera, i partiti d'opposizione sono effettivamente tali, i diversi culti religiosi sono tollerati». Insomma, non solo nessuno reagisce - tranne noi e Oggi - alla notizia che la donna di un presunto oppositore kazako e sua figlia sono state caricate in fretta e furia su un aereo e rispedite nelle braccia dell'uomo che dà la caccia al loro marito e padre, ma per i giornali che oggi si stracciano le vesti se il Kazakistan non era il paradiso terrestre poco ci mancava. Poi, dopo tanta indifferenza, improvvisamente succede qualcosa. Il 5 luglio, cioè a più di un mese dall'espulsione della donna e dalla pubblicazione dei primi articoli sul caso, La Stampa di Torino ricostruisce l'episodio, denunciando l'abuso. Improvvisamente l'indignazione per il forzato allontanamento di una madre e di una bambina di sei anni tracima sui giornali e nelle aule parlamentari e il caso, da giudiziario che era, diventa politico. I quotidiani sollecitano inchieste e prese di responsabilità. I cronisti raccontano la fuga della famiglia Ablyazov da un Paese all'altro dell'Europa per sottrarsi alla vendetta del feroce dittatore kazako. Nessuno mostra la villa miliardaria da 1.400 metri quadrati, con  piscina, bagno turco per 12 persone e sala da ballo, in cui a Londra è riparato l'esule inseguito da mandati di cattura per truffa. Né si racconta che proprio nei giorni antecedenti il blitz romano l'alta corte inglese, dopo averlo condannato a 22 mesi di carcere e avergli sequestrato milioni, si appresta a vendere le lussuose proprietà del dissidente.  Perché ciò che conta non è difendere i diritti di una donna e di una bambina né capire quali interessi si muovano dietro a una guerra di petrolio e potere che interessa molte compagnie petrolifere europee che vogliono prendere il posto dell'Eni in Kazakistan. No, l'importante è far secco un governo che per noi non è il migliore, ma neanche il peggiore che ci potrebbe capitare se Letta lasciasse ora. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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