La scure su privilegi e sprechi di Stato
Il prezzo per avere i conti in ordine è stato che gli italiani hanno le tasche vuote e le scatole piene di pagare uno sproposito di tasse. Ora Letta deve aggredire la spesa pubblica inutile, a partire dagli organismi del potere istituzionale. Prima che sia troppo tardi
Lo spread è tornato sopra i 300 punti. Presi come eravamo a seguire i nostri guai politici, tra un processo a Berlusconi e l'ennesima divisione del Pd, ci eravamo quasi scordati del simpatico indice che due anni fa ci aveva tenuti con il fiato sospeso. Tuttavia, se noi ci siamo dimenticati, il parametro che segnala lo stato di salute del nostro debito e della nostra credibilità sui mercati finanziari non si è dimenticato di noi. E così, come nel 2011 ci presenta all'improvviso il conto. Niente di allarmante, intendiamoci. Diciamo che si tratta solo di una fastidiosa lucetta rossa che si è accesa sul cruscotto della macchina chiamata Italia e che il conducente, tal Enrico Letta, farebbe bene a non sottovalutare. Certo, non si vive di solo spread e chi ha il compito di condurci in porto sani e salvi non può tenere gli occhi fissi solo sul fastidioso indicatore. Però, fossimo nel nostro presidente del Consiglio non faremmo spallucce. Chi le fece, in capo a tre mesi si trovò rottamato e sostituito da un professore prestato alla politica. La risalita del tasso altro non vuol dire che all'estero e più in generale gli investitori hanno qualche dubbio sulla reale capacità dell'Italia di uscire dalla crisi. È vero, abbiamo i conti in ordine. Siamo riusciti a farci revocare la procedura di infrazione e a mantenere il deficit sotto il 3 per cento come voleva l'Europa. Tuttavia abbiamo le tasche sempre più vuote. Il Prodotto interno lordo è dato ancora in discesa (- 1,9 per cento) e il debito in salita, al punto che il rapporto fra i due dati macroeconomici è peggiorato. Se, invece di fare il contrario, si produce di meno e ci si indebita di più c'è rischio un bel giorno di non avere i quattrini per rimborsare il debito e questo preoccupa. Già, perché finora i governi che si sono succeduti sono riusciti a tenere in piedi la baracca aumentando la pressione fiscale, ma il Fisco non è il pozzo di San Patrizio e prima o poi le tasse finiscono. O meglio: finisce la pazienza degli italiani e il portafogli da cui estraggono le banconote necessarie a onorare gli impegni con Equitalia e l'Agenzia delle entrate si esaurisce. Quando c'è da rimettere a posto il conto profitti e perdite ogni esecutivo s'ingegna ad alzare le tasse, rincarando l'Iva, le accise o inventandosi una gabella come l'Imu. Ma il grado di sopportazione dell'economia è limitato, soprattutto se si tratta di un'economia già in affanno, e il rischio di un circolo vizioso aumenta sempre più. A forza di imposte si deprimono i consumi e se continuano a calare quelli il mercato interno non si riprende, le imprese ne soffrono e l'occupazione anche. Cinque anni di questa via crucis ammazzerebbero anche il cavallo più resistente e noi per l'appunto siamo vicini allo schianto. Dunque? Per trovare le risorse occorre tagliare la spesa, l'unica soluzione alla quale i politici - ma anche i tecnici - non si arrendono mai. Ieri, sul Corriere della Sera, due professori come Alberto Alesina e Francesco Giavazzi ricordavano gli errori del collega Mario Monti, spiegando che la spesa pubblica rimane un tabù che nessuno intende toccare. Vuoi per paura di finire nel mirino dei sindacati, vuoi per le pressioni delle lobby, quando c'è da mettere mano alle forbici i nostri ministri hanno sempre altro da fare. Eppure il modo ci sarebbe e i capitoli di spreco su cui intervenire anche. È di ieri la notizia che il governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, cioè l'uomo che guida una delle regioni dove la sanità funziona, è pronto a mandare una sua task force di esperti a rimettere ordine nei conti delle regioni scialacquone. Non si tratterebbe di un vero e proprio commissariamento ma quasi. Avvenisse avremmo forse i famosi costi standard, cioè il prezzo delle forniture ospedaliere uguale per tutti, senza ulteriori sprechi. E a proposito di sciupìo del pubblico denaro: da giorni siamo impegnati a segnalare come dalle parti di Montecitorio e Palazzo Madama si spendano i soldi dei contribuenti. Non si tratta solo del finanziamento pubblico, né dello stipendio dei parlamentari, due tra gli argomenti che più fanno inferocire gli italiani e sui quali si riversa l'attenzione dell'opinione pubblica. No: ci sono tutti i costi del sistema parlamentare. Servizi, forniture e stipendi delle migliaia di impiegati e commessi che lavorano nelle istituzioni. Il nostro Fausto Carioti ha scoperto che non solo i fortunati dipendenti di Camera o Senato hanno stipendi d'oro assai poco giustificati, ma si giovano pure di cumuli di giorni di vacanze, i quali - se non consumati , il che accade spessissimo - consentono di accorciare la permanenza al lavoro e di andarsene in pensione qualche anno prima rispetto ai comuni mortali. Privilegi che forse in tempo di vacche grasse potevano essere tollerati, ma ora, con la crisi e la maggioranza degli italiani costretta a tirare la cinghia, non possono più continuare. Letta deciderà di intervenire? O anch'egli, come i suoi predecessori, si rassegnerà all'andazzo preferendo mettere le mani nelle tasche dei contribuenti? Attendiamo risposta. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet