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L'Italia degli autogol mette in fuga i soldi degli stranieri

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Gli spagnoli ci offrivano 500 milioni per fare un rigassificatore ma abbiamo dato retta agli ambientalisti. E siamo rimasti al verde

Lucia Esposito
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di Maurizio Belpietro Puntuale come una rata del mutuo, tra pochi giorni arriverà il bollettino dell'Istat con i dati sulla disoccupazione in Italia. E, come il pagamento degli interessi alla banca, saranno dolori perché proprio al pari del tasso applicato dagli istituti di credito, l'indice che segnala il numero dei senza lavoro non scende mai. Il mese scorso stavamo al 12,2 per cento, l'1,8 in più dello stesso periodo del 2012, probabile che negli ultimi trenta giorni sia aumentato di qualche decimale, in quanto il numero di aziende che tirano giù la serranda non è di certo diminuito. Si dirà: niente di nuovo sotto il sole, sono almeno due anni che va di male in peggio. E invece no: qualcosa di nuovo sotto il sole c'è. O meglio: la novità è sopra il Sole, perché ieri la si poteva trovare in una delle pagine salmonate del quotidiano confidustriale. Di che si tratta? È subito detto: in una breve il giornale economico dava notizia del prossimo addio all'Italia degli spagnoli di Gas Natural. Chi sono questi iberici che si preparano a traslocare e a tornare in patria? Si tratta di un gruppo piuttosto noto che opera nel ramo delle fonti energetiche cosiddette tradizionali, cioè gas e petrolio, e a cui era venuta la balzana idea di costruire un rigassificatore a Trieste. Balzana perché i poveretti non avevano messo in conto con chi avevano a che fare e dunque pensavano di avere il terreno spianato, anzi la passatoia di velluto rosso davanti a sé. Con 500 milioni di investimento, lavoro per le ditte di costruzione e lavoro per i futuri dipendenti, quale Paese non farebbe salti di gioia alla notizia che ci sono investitori esteri pronti a mettere quattrini per dare inizio a un'attività in loco? Già, chi? Noi italiani. Che infatti sin dal principio ci siamo opposti, giudicando il progetto troppo pericoloso per la salute pubblica. Partiti, sindacati, comitati spontanei hanno cominciato a prendere di mira l'investimento e nonostante le rassicurazioni degli spagnoli, hanno fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote a Gas Natural. Risultato: dopo nove anni di tira e molla, gli iberici si sono rotti di attendere e si preparano alla ritirata, che in questo caso non rappresenta la loro sconfitta, ma la nostra. Un Paese in crisi, che si lamenta per il calo del Prodotto interno lordo e l'aumento dei disoccupati, non può certo permettersi il lusso di mandare a stendere chi vuole portarci 500 milioni di investimenti e della manodopera. E invece no: è probabile che a Trieste si stiano fregando le mani e stiano stappando bottiglie di prosecco, festeggiando lo scampato pericolo di avere un rigassificatore alle porte di casa. Non importa che non molto più in là, sulle coste della Croazia, qualcuno stia costruendo un impianto analogo. E chissenefrega pure che in tal modo si avvantaggino i vicini, i quali potranno avere il gas che a noi manca e ai quali magari ci toccherà rivolgerci per scaldare le nostre case. Insomma, mentre ci lamentiamo per la manodopera a spasso e per il caro bollette, nella Venezia Giulia danno un calcio a chi si offriva di darci una mano.  Tuttavia, i triestini sono in linea con i brindisini, perché anche a Brindisi qualche tempo fa hanno mandato al diavolo investimenti e assunzioni. Gli inglesi della British Gas erano in attesa da soli undici anni di poter realizzare un rigassificatore  simile a quello costruito in Scozia. Ma dopo lunghe discussioni e trattative, valutazioni di impatto ambientale e studi di fattibilità, alla fine si sono arresi e hanno gettato la spugna, facendo le valigie con gli 800 milioni che volevano spendere in Puglia. In un sol colpo in pratica ci siamo giocati oltre 1 miliardo che imprenditori stranieri volevano spendere da noi. Ma non è tutto. A dodici chilometri dalle coste abruzzesi gli inglesi di Medoilgas vorrebbero costruire una piattaforma per l'estrazione del gas sotto il mare, così come si fa in altri Paesi e così come si apprestano a fare dall'altra parte dell'Adriatico. Apriti o cielo: in loco e non solo tutti si sono impegnati ad impedire che il progetto vada in porto. Si paventano disastri ambientali, si prospetta la fuga dei turisti dalle località di villeggiatura e il crollo di ogni attività di pesca. Perciò, anche questo investimento, al pari di quello della Gas Natural e di British gas, probabilmente sarà respinto, con tutto ciò che questo significa in termini di posti di lavoro e di fatturato. Si dirà: ciò che conta è la salute, mica il denaro, e se per averlo bisogna rischiare danni ambientali, meglio così. Il problema è che nessuno ha mai dimostrato che questi impianti possano fare danni. Si tratta di semplici paure  che qualcuno sapientemente sparge, mobilitando la popolazione e provocandone la reazione. Altrove queste preoccupazioni le hanno affrontate e le hanno risolte. Da noi invece c'è chi ci costruisce carriere politiche, convinto che a far leva sulle apprensioni si possa anche arrivare in Parlamento.  Conclusione: fino a che non si troverà un rimedio e si neutralizzeranno gli spargitori di terrore, sarà difficile attirare investimenti in settori energetici e in tutti gli altri che diano fastidio a qualcuno, come è successo perfino nel campo dei grandi magazzini tipo Decathlon e Ikea. Perché se è vero che in Italia il lavoro ci potrebbe essere ma manca la voglia di farlo arrivare, bisognerà pur decidersi e stabilire se per questo Paese vogliamo un futuro di crescita oppure, come teorizzano Grillo e Casaleggio, puntiamo sulla decrescita felice. Cioè su un'Italia più povera che se la ride. Ma in tal caso, vi faccio una domanda: sicuri che quando questo avverrà ci sarà da ridere?  

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