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Tra 20 giorni cancelleranno 20 anni di centrodestra

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La fretta della Suprema Corte sembra fatta apposta per bandire Berlusconi dalla scena politica: a settembre la tagliola sarebbe stata in bilico. Allora meglio non rischiare

Lucia Esposito
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di Maurizio Belpietro Tra venti giorni potrebbe concludersi la storia politica ventennale di Silvio Berlusconi. Con un colpo a sorpresa, anzi un colpo di mano, la Cassazione ha fissato per il 30 luglio l'udienza  per decidere in merito alla sentenza Mediaset, quella con cui i giudici d'Appello di Milano hanno condannato il Cavaliere a quattro anni di reclusione più cinque di interdizione dai pubblici uffici. Il pronunciamento della suprema Corte era atteso fra settembre e gennaio del prossimo anno, perché di regola l'ultimo grado di giudizio non si celebra mai prima che siano trascorsi sei mesi dalla presentazione del ricorso. E dunque tutti, politici e giornalisti, si preparavano a una fine d'anno di polemiche - pro o contro la decisione -  sia che fosse un'assoluzione che, come molti a sinistra si auspicano e prevedono, una condanna. E invece, rompendo le consuetudini, la Cassazione ha deciso di accelerare la pratica e di emettere una sentenza in tempi rapidi. Anzi: rapidissimi, perché tra deposito e pronunciamento definitivo  trascorreranno appena tre settimane. Miracolo? La giustizia ha finalmente scoperto l'efficienza che insegue da anni, smaltendo gli arretrati? Nulla di tutto questo. La velocità è un privilegio esclusivo riservato a Berlusconi, per il quale viene usata una corsia preferenziale per giudicarlo il più celermente possibile. I maligni già dicono che i magistrati della Cassazione hanno fretta di condannarlo e intendono chiudere la questione una volta per tutte prima dell'estate, così da potersi  poi godere in santa pace il meritato riposo e rinfrescarsi nelle acque cristalline di spiagge lontane.  Vero o falso? Difficile rispondere.  Ma è certo che la decisione ha turbato perfino un compassato principe del foro come l'avvocato Franco Coppi, il quale in mezzo secolo di onorata carriera trascorsa nelle aule di giustizia credo ne abbia viste di tutti i colori, compresa l'accusa a Giulio Andreotti di essersi sbaciucchiato con Totò Riina e di essere il mandante dell'omicidio di Mino Pecorelli. Eppure, nonostante non sia un novellino ma un veterano dei tribunali, alla notizia della fissazione al 30 di luglio della sentenza Mediaset, perfino l'anziano legale è sbottato e si è dichiarato esterrefatto, lamentando il poco tempo riservatogli per organizzare la difesa.  Insomma, sarà perché c'è di mezzo il suo ex avvocato, ma viene in mente la frase di Belzebù, il quale è passato alla storia per una delle sue battutine ciniche:  «A pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca». Soprattutto se la decisione di sveltire il processo al Cavaliere è presa a  poche ore dall'uscita in edicola del Corriere della Sera, che, con il titolo più importante della prima pagina, ieri annunciava il rischio di uno slittamento della sentenza a carico di Berlusconi. Per effetto di uno strano calcolo, che deve tener conto della parziale prescrizione del reato e di una condanna onnicomprensiva, secondo il quotidiano di via Solferino si rischiava di dover rifare il processo e dunque di dover attendere la sentenza definitiva per un altro anno ancora. Non sia mai, deve aver pensato qualcuno dalle parti della  Cassazione. Ancora dodici mesi con il Cavaliere a piede libero? Meglio accelerare e chiudere la partita prima di salpare per destinazioni esotiche, così la vacanza può essere goduta appieno. Anche perché giova ricordare che, nel caso in cui la seduta della suprema Corte si fosse svolta al rientro dalle ferie, e dunque con una parziale prescrizione già in atto, ci sarebbe pure stato il pericolo che la condanna dovesse essere diminuita da quattro a tre anni, con cancellazione automatica dei cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, perché la legge prevede tale pena accessoria solo quando l'imputato sia stato condannato ad almeno 48 mesi di carcerazione. In pratica, aspettando settembre c'era il rischio di condannare Berlusconi, ma senza riuscire a levarselo dai piedi, perché senza interdizione il leader del centrodestra potrebbe continuare a sedere in Parlamento e dunque a guidare quello che è il primo partito italiano. E così, secondo chi pensa male, ecco lo sgambetto: tempo venti giorni e al Cav sarà cucita addosso una sentenza su misura. Non importa che il professor Coppi - cioè non uno dei soliti legali berlusconiani - abbia ravvisato 49 motivi per cui il processo Mediaset avrebbe dovuto essere annullato. Conta poco anche che ci siano 23 cause di nullità e 26 violazioni di legge. Ciò che preme è arrivare alla soluzione finale. All'atto conclusivo di una caccia all'uomo durata vent'anni e alla quale il leader del centrodestra ha fatto tutto ciò che era in suo potere per sottrarsi. Negli ultimi mesi però il cerchio si è stretto e entro poche settimane l'inseguimento potrebbe concludersi con l'abbattimento della preda più ambita. Basterà una conferma della sentenza di appello, quella stessa sentenza giudicata infondata per 49 motivi, e il Cavaliere sarà fuori dalla politica. Giudicato incandidabile e magari costretto ai domiciliari per un anno in attesa che un'altra condanna lo rinchiuda più a lungo. Ma può una storia politica  essere liquidata con accuse vaghe e un giudizio generico, con cui si sostiene che Berlusconi non poteva non sapere che qualcuno lo stava truffando e dunque non può che esserne complice? Si può, soprattutto, trasformare la vittima in colpevole e il derubato in un ladro? E la chiamano giustizia.   

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