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Turismo, un tesoro sperperato dal baraccone pubblico

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Siamo la Repubblica del turismo, ma aeroporti e stazioni fanno pietà e tesori come Pompei muoiono. Un disastro che il Pd bray vuol risolvere al solo modo: assumendo

Nicoletta Orlandi Posti
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Altro che Repubblica fondata sul lavoro. Avessimo un minimo di fantasia, il nostro Paese lo fonderemmo sulle vacanze, unica vera ricchezza nazionale in grado di assicurarci un futuro.  Non abbiamo infatti giacimenti di petrolio come la Norvegia (e quando li abbiamo ce ne guardiamo bene dal deciderci a sfruttarli). Non disponiamo di miniere di carbone come Russia e Germania (tuttavia ci incaponiamo ad estrarre quello a bassa qualità che nessuno vuole).  Per nostra sfortuna nel sottosuolo patrio scarseggiano pure il nichel e il rame e dunque addio metalli preziosi. In compenso siamo seduti su depositi di opere d'arte e camminiamo per villaggi che se non sono opere d'arte poco ci manca. Peccato che queste grandi risorse, artistiche e naturali, non siamo in grado di farle fruttare. Lo so: qualcuno penserà che stia per scrivere le solite quattro banalità a proposito di quanto è bella l'Italia e quanto gli italiani siano incapaci di mettere a reddito sole, mare e musei della Penisola, cioè ragionamenti che si sentono al bar o sotto l'ombrellone a bordo piscina. No. Quello che sto per scrivere è frutto degli ultimi dati elaborati nientepopodimeno che dai cervelloni della Banca d'Italia, i quali hanno scandagliato la spesa turistica nell'ultimo anno e rilevato l'andamento del settore nel primo trimestre. In breve, il responso è questo: mentre l'industria boccheggia e le aziende commerciali tirano a campare, l'unico ramo che non pare soffrire la crisi è quello turistico. Lo scorso anno la spesa dei villeggianti è salita del 3,8 per cento, facendo registrare un introito di 32 miliardi. Tutto ciò mentre il Prodotto interno lordo scendeva del 2,5 per cento, dunque quasi sei punti e mezzo di differenza. A far lievitare il fatturato di alberghi, ristoranti, compagnie di viaggio e dell'indotto turistico in genere non sono stati gli italiani, ma gli stranieri, in particolare quelli provenienti dai cosiddetti paesi Bric, cioè dalla Russia (+28 per cento), dalla Cina (+29), dall'India (+42,5). Insomma, appena raggiunto il benessere anche le famiglie di Paesi che fino a ieri avremmo definito sull'orlo della povertà vogliono spassarsela e girare il mondo.  E tra i turisti che vogliono scoprire il Belpaese ci sono pure giapponesi, australiani e americani, le cui presenze si incrementano con numeri spesso sopra le due cifre. Secondo l'Enit perfino tedeschi, austriaci, olandesi, belgi e svizzeri fanno la coda alle nostre frontiere, mettendo l'Italia fra le mete più ambite, anzi: la più ambita.  Tutto bene dunque? Le vacanze (degli altri) ci salveranno dalla recessione? No. Tutto male, perché, pur avendo un giacimento di opere d'arte, di stile di vita, di località tra le più belle del pianeta, i turisti facciamo di tutto per metterli in fuga e, se sono riusciti ad arrivare superando scioperi e code agli imbarchi, ci impegniamo per non farli tornare.   Non mi riferisco solo al caso eclatante dei giorni scorsi, dei turisti lasciati ad arrostire sotto il sole a causa di una protesta sindacale, ma all'intero sistema di accoglienza, che fa acqua da tutte le parti e spesso ci fa vergognare.   Aeroporti che somigliano a bivacchi più che a moderni scali degni di ricevere i viaggiatori di tutto il mondo. Stazioni che, nonostante gli investimenti fatti, o sono cattedrali nel deserto (vedi la Tiburtina, a Roma) o sono prive dei collegamenti necessari o, peggio, sembrano ricoveri estivi o invernali per  senzatetto  e spacciatori. Ritardi, servizi scadenti, toilette intasate (provate ad andare in bagno in una stazione brulicante di persone come quella di Tokyo e capirete perché noi siamo il Terzo Mondo), disagi.   Se poi ci aggiungete che non sappiano neppure conservare quello che abbiamo, che i Bronzi di Riace li chiudiamo in un magazzino e le rovine di Pompei ci stiamo impegnando al massimo per mandarle definitivamente in rovina, che per tenere alla larga i natanti che attraccano da noi abbiamo messo una tassa e per scoraggiare chi fa scalo abbiamo più aeroporti che aerei, possiamo concludere che ce la stiamo mettendo tutta per farci del male e distruggere la fortuna sulla quale siamo seduti. Aggiungo al disastroso stato dell'arte appena descritto che il ministero competente a tutelare i Beni culturali è in bolletta, mentre quello del Turismo ha perso da tempo il portafoglio.  Tuttavia, secondo l'Unità, il ministro cui sono affidati i due comparti è ottimista. Massimo Bray, Pd di osservanza dalemiana che si è fatto notare per una visita alla Reggia di Caserta in bici anziché in auto blu (ma questi del Pd sanno che oltre alle due ruote esistono anche le rotaie e i tram?), ha dichiarato  che la colpa dei turisti sotto il sole e dei musei chiusi per assemblea sindacale è tutta della carenza di personale. Ci vorrebbero almeno duemila persone in più, cioè un bel concorsone - parole dell'Unità - per assumere archeologi, architetti, bibliotecari, archivisti. Insomma:  lo Stato deve pagare più di quanto già paga.   E io che credevo - a differenza di Giulio Tremonti - che con la cultura si mangiasse.  Io che credevo che le pinacoteche si dovessero mantenere da sole, anzi che servissero a mantenere tutti noi. Errore. Noi manteniamo il baraccone ministeriale della Cultura e del Turismo e per questo non abbiamo grandi aeroporti internazionali, treni veloci e musei gestiti come società per azioni. Con il settore incassiamo 32 miliardi, ma ne buttiamo più della metà nel calderone di una macchina onnivora e inefficiente.  E poi si lamentano se ci sono più persone in transito in un fazzoletto di terra come Hong Kong che in tutta l'Italia.  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

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