Cerca
Cerca
+

Il tappo della Consulta che blocca l'Italia

default_image

La Corte Costituzionale ormai è un terzo grado di giudizio legislativo che frena ogni riforma. Senza rendere mai conto a nessuno e senza che alcuno possa criticarla

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

Le Province non si possono abolire per decreto, parola della Corte costituzionale. Non importa che tutti gli altri modi tentati in questi anni non siano serviti a cancellare uno degli stipendifici più inutili del nostro Paese: la legge è legge e i supremi giudici la applicano con rigore, stabilendo cosa va bene per l'Italia e che cosa non va. E abolire con provvedimento d'urgenza le province è cosa che non si può fare: meglio ponderare con calma, del resto sono solo quarant'anni che si prova a farle sparire. Non è la prima volta che la Consulta corregge il governo o il Parlamento, dichiarando incostituzionali i provvedimenti varati e andando contro il buon senso. Nelle ultime settimane è successo almeno tre volte. La prima ha riguardato le pensioni d'oro, che il governo Berlusconi e poi quello di Monti avevano messo nel mirino, stabilendo un prelievo forzoso sull'assegno previdenziale. Non si può fare, hanno sentenziato i quindici giudici della Corte: non rispetta i principi di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte allo Stato, senza però dire se i burocrati che si erano autoassegnati dei maxi stipendi prima di collocarsi a riposo quei principi di uguaglianza li avevano rispettati.  Un'altra sentenza che ha fatto discutere è quella in cui si stabilisce se un'attività di governo sia o meno un legittimo impedimento a recarsi dal giudice. Essendoci di mezzo Berlusconi e i suoi processi, i magistrati  costituzionali ovviamente hanno deciso per il no, emettendo una di quelle sentenze pilatesche che alle supreme toghe riescono bene. Serve una leale collaborazione fra poteri dello Stato. Già, ma se la collaborazione non c'è e uno dei poteri vuole sopraffare l'altro che si fa? Si trasferisce Palazzo Chigi a Palazzo di Giustizia così si fa prima e il presidente del Consiglio non perde tempo, passando direttamente da una riunione con i ministri a una con i magistrati? Silenzio, la Corte non commenta, si limita a emettere sentenze.  Qualche malumore i signori giudici lo hanno provocato quando hanno stabilito che Napolitano non si può intercettare anche per sbaglio e dunque le sue conversazioni finite nei brogliacci giudiziari di Palermo dovevano essere bruciate. Tuttavia le critiche sono state passeggere, perché la Consulta a sinistra gode di buona fama. Ad accrescerne la stima fra i progressisti è stata la cancellazione di un certo numero di leggi berlusconiane, prima fra tutte il cosiddetto lodo Alfano, una specie di scudo che avrebbe messo al riparo le alte cariche istituzionali dall'invadenza dei pm, evitandoci tutto quello che è accaduto in questi anni, processo Ruby compreso. Ma il lodo Alfano ai giudici non piaceva: si fosse chiamato lodo Napolitano e avesse riguardato solo l'inquilino del Quirinale lo avrebbero approvato. Però la protezione era estesa anche al capo del governo, che guarda caso in quel momento era incidentalmente il Cavaliere, e dunque la legge è stata dichiarata incostituzionale e abolita all'istante. Mai come oggi insomma ci tocca fare i conti con la Corte costituzionale, che ormai è diventata una specie di terzo grado di giudizio legislativo. Prima viene il Parlamento, che dibatte senza soste per un anno o due qual è la norma giusta per far uscire l'Italia dalla crisi, facendo finta di ridurre gli sprechi e di contenere la spesa. Poi arriva il presidente della Repubblica, il quale una volta tagliava nastri e parlava solo a Capodanno ma ora taglia le leggi su sua misura e parla ogni giorno a piacimento. Infine arrivano i quindici giudici, cioè dei signori che nessuno conosce perché a eleggerli sono il presidente della Repubblica, le supreme magistrature e il Parlamento, non certo i cittadini. Ma che fanno i membri della Corte costituzionale una volta eletti? Quel che gli pare, visto che non devono rendere conto a nessuno se non a se stessi. In genere provvedono a eleggersi a turno presidente un giorno prima che scada il loro mandato, così possono ricevere una pensione d'oro, una di quelle che la loro stessa sentenza ha salvato. Per il resto appunto, salvano le province e anziché approvare provvedimenti di buon senso tipo lo scudo per le alte cariche istituzionali (esiste anche in Francia), lo bocciano. Naturalmente criticare i giudici della Consulta non si può, perché si rischia di venir accusati di voler abolire le regole o, peggio, di non rispettare la Costituzione, che come è noto è sacra e inviolabile. Accadde a Berlusconi, che si permise dopo la bocciatura del lodo Alfano di attaccare i quindici signori rinchiusi a Palazzo dei Marescialli. Sul suo capo piovve ogni genere d'accusa, compreso quella di essere un aspirante golpista, che non si ferma di fronte alle istituzioni. Peccato che il primo a esprimere dubbi sulla Corte costituzionale, dichiarando guerra ai quindici signori nominati ma non eletti, fu proprio il Partito comunista, per bocca dei suoi massimi vertici. Secondo Togliatti e compagni non si potevano affidare le sorti del paese a quindici persone non scelte dall'elettorato e prive di controllo: si sarebbe rischiato il governo dei burocrati, cioè di tecnici lontani dal popolo, che per una questione formale avrebbero appunto potuto cancellare una legge utile al Paese. Proprio come è accaduto con le Province. Purtroppo, il Pci perse la battaglia che avrebbe dovuto vincere. La sola che avrebbe avuto ragione di vincere. di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet

Dai blog