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Alla sinistra l'Italia piace ingovernabile

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Per i progressisti la Costituzione è un monolite con cui conservare il potere. Ma così condannano il Paese

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet L'altra sera, a un Rotary, dopo un'ora e mezza trascorsa a raccontare le disgrazie di questo Paese, mi sono sentito rivolgere una domanda disarmante. «Lei ci ha raccontato tutto ciò che non va in Italia», mi ha chiesto un imprenditore, «ma adesso ci deve spiegare che cosa si può fare perché le cose vadano nel verso giusto».  Avrei potuto cavarmela dicendo che non faccio il politico ma solo il giornalista, e come tale sono esperto di tutto e dunque di niente. Avrei potuto dire che non ho la bacchetta magica o più semplicemente che io, come loro, non sapevo che fare. Invece mi sono messo a discutere della Costituzione e di quei meccanismi di pesi e contrappesi che rendono l'Italia un Paese ingovernabile.  Si tratta di un mio vecchio pallino: da vent'anni sostengo che le colpe non sono di Prodi o Berlusconi, di D'Alema o Monti, cioè di coloro i quali nel corso degli ultimi decenni sono stati a Palazzo Chigi. O meglio:  Prodi, Berlusconi, D'Alema e Monti portano le loro responsabilità, ma se stiamo messi male è a causa della  Costituzione, cioè di una carta nata con il peccato originale del compromesso. La nostra non è la più bella del mondo, come ha sostenuto Roberto Benigni tempo fa in televisione. Semmai è la più ingessata del mondo ed è fatta non per garantire la libertà, ma per impedire che una forza politica possa governare in libertà. Bisogna capirli, i nostri padri costituenti. La Repubblica cui si preparavano a dar vita non era fondata sulla libertà come gli Stati Uniti o la Francia, e neppure sul lavoro come recita l'articolo numero uno della Costituzione, ma sulla diffidenza nei confronti degli altri. Usciti da una dittatura, i membri dell'assemblea  temevano di entrare in un'altra. I comunisti avevano paura degli americani, i democristiani  dei russi. Così gli uni legarono le mani agli altri e viceversa.  Governare un Paese senza avere il potere di farlo, come è ovvio, non è facile, si rischia di andare a sbattere e infatti noi rischiamo di schiantarci contro un muro da anni, ma il pericolo si è fatto più concreto negli ultimi, perché non esistono gli appigli e le scuse cui ci siamo aggrappati fino ad oggi. I vizi della Costituzione sono noti da tempo e non solo al sottoscritto: Montanelli ne scrisse in uno dei suoi primi fondi su Il Giornale, nel 1974. Secondo il vecchio Indro, «la più grossa delle magagne è l'impotenza cui essa condanna l'esecutivo» e per questo motivo, fossimo stati in un sistema bipartitico, lui avrebbe visto di buon occhio la «presidenzializzazione» della carica di capo del governo, facendo eleggere il presidente del Consiglio direttamente dal popolo in modo che la carica fosse garantita per almeno cinque anni, senza condizionamento del Parlamento e dei partiti. Per l'alfiere dei moderati italiani, la Costituzione doveva consentire al capo del governo di esserlo un po' di più, evitando al premier di passare le giornate a fare da mediatore fra le forze che compongono la maggioranza. E un'altra proposta dell'ex direttore di via Negri prevedeva un uso più appropriato dei decreti legge e delle deleghe che consentissero all'esecutivo il compito di legiferare sulle materie urgenti. Ecco, tutto ciò mi è ritornato in mente ieri, leggendo le reazioni alla proposta di un semipresidenzialismo alla francese, cioè di una modifica costituzionale che consenta non solo l'elezione del capo dello Stato, ma che attribuisca maggiori poteri a una delle alte cariche. Il nodo resta quello descritto quarant'anni fa da Montanelli:  consentire all'Italia di essere governata. Alla Francia personalmente invidio poco, ma tra ciò che i cugini hanno e noi no c'è sicuramente la struttura dello Stato. Loro hanno eletto François Hollande, un presidente subito ribattezzato «il budino» per la sua mollezza. Eppure il capo dell'Eliseo in cento giorni ha mantenuto le sue promesse, applicando le sue folli teorie economiche. In Italia tutto ciò non sarebbe stato possibile neanche in cento anni, perché né il presidente della Repubblica né quello del Consiglio dei ministri hanno i poteri per farlo. Ben venga dunque una modifica costituzionale che attribuisca o al premier o al capo dello Stato la funzione di guidare il Paese e non solo di dirimere le liti da ballatoio scoppiate nella maggioranza. Purtroppo però non sono molto fiducioso che ciò accadrà. Anche se sono trascorsi oltre sessant'anni dal giorno in cui la Costituzione fu adottata, «i partiti, da essa privilegiati, le montano intorno una guardia ferrea», «ammantandola di una intoccabilità talmudica».  Il giudizio è ancora di Indro Montanelli. Di mio aggiungo solo che tra i pretoriani che rendono impossibile le revisioni e la trasformazione del nostro Paese in uno Stato moderno ci sono non solo i partiti, ma anche i giornalisti e i professori. È sufficiente leggere la Repubblica in questi giorni per rendersi conto del fuoco di sbarramento scatenato per impedire le riforme. Quelli che si dicono progressisti, in realtà, sono i veri conservatori. Un blocco di potere schierato contro qualsiasi cambiamento, pronto a condannare l'Italia al declino piuttosto di vedersela sfuggire dalle mani.   

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