Paghiamo noi i debiti del Pd
I fondi pubblici svaniscono e i democratici scaricano sullo Stato i dipendenti in esubero. Epifani all'angolo: da ex sindacalista comunista dovrà liberarsi dei "compagni lavoratori". E farli mantenere dai cittadini...
Maurizio Belpietro Primi effetti della proposta di abolire il finanziamento pubblico ai partiti: ancora l'idea non è stata tradotta in legge (e non è detto che lo sia perché la politica mette le mani avanti, pronta a continuare ad arraffare) che già il Pd si è portato avanti e ha deciso di mettere in cassa integrazione 180 dipendenti del partito. Il tesoriere Antonio Misiani ha riunito ieri i dipendenti annunciando la cattiva notizia: la situazione dei conti è drammatica e con la fine dell'erogazione a pioggia di contributi statali sarà anche peggiore. Risultato: non c'è altra via che mandare a casa il personale. Portavoce, segretarie, funzionari: sono tutti a rischio. Perché, secondo l'uomo della cassa, se ci si dovrà affidare alla contribuzione volontaria, cioè alle donazioni dei militanti o simpatizzanti, ci sarà poco da scialare. I fondi che arriveranno con il nuovo meccanismo non copriranno mai il vuoto incolmabile lasciato dai soldi pubblici e, dunque, liberi tutti. Il piano prevede il ricorso agli ammortizzatori sociali, cioè la cassa integrazione o i contratti di solidarietà. E nel primo come nel secondo caso per i dipendenti si tratterebbe di una sensibile riduzione di stipendio, mentre per le casse dello Stato un esborso non più sotto forma di finanziamento pubblico ma di un aiuto alla conservazione di 180 posti. Insomma: senza il contributo diretto al partito, il Pd troverebbe un modo per mungere ancora quattrini statali, anche se in misura minore rispetto a prima. Il cassiere del Partito democratico pur escludendo per ora i licenziamenti è stato costretto a parlare di prepensionamenti e tagli all'organico, non è chiaro se con incentivi all'esodo oppure no. Sta di fatto che la situazione ha messo in forte imbarazzo il Pd, per due ragioni. La prima è che il dramma dei conti è diventato tale anche per colpa dell'ex vicesegretario del partito. Se per inseguire i grillini a Enrico Letta non fosse venuto in mente di dare una sforbiciata al sistema di finanziamento pubblico, oggi il Pd non sarebbe nei guai, costretto a cacciare funzionari e portaborse. La seconda ragione è che a dover gestire politicamente la grana della cassa integrazione e della riduzione di personale è l'ex capo della Cgil, cioè uno che fino a ieri saliva sulle barricate al solo sentir parlare di metter mano agli organici. Più della tenuta del governo, più della guerra che gli fa Matteo Renzi, Guglielmo Epifani dovrà preoccuparsi per i dipendenti che rischiano di essere messi alla porta. Ve lo immaginate? L'ex numero uno del sindacato comunista che fuori dalla porta del suo ufficio ha degli ex comunisti che protestano per il loro licenziamento? E magari, forti dell'esperienza accumulata in tanti anni di militanza, fanno pure i cortei, i sit-in e nel caso si incatenano al portone d'ingresso della sede? Si tratterebbe di una vendetta della storia, che ripagherebbe con egual moneta contestatori e manifestanti di professione. Forse però non si arriverà a tanto, anche perché i comunisti che mandano a casa 180 comunisti sarebbe uno spot troppo favorevole per il Cavaliere. È vero che il Pd sembra sempre più un Partito defunto, che mostra segni di reviviscenza solo se c'è da farsi la guerra fra correnti, ma è difficile che si estingua nel modo peggiore, ovvero litigando e licenziando. Più facile che, come si diceva, si trovi una soluzione per scaricare le eccedenze di personale sulle spalle dello stato, cioè spostando il peso dai contributi pubblici all'assistenza pubblica. Del resto, in questo genere di furbate a sinistra sono esperti. Nel passato, dopo aver fatto lavorare per anni i funzionari senza versar loro neanche una lira di contributo previdenziale, al momento di mandarli in pensione si inventarono la legge Mosca, ovvero una norma che riconosceva l'assegno di quiescenza a chiunque fosse stato impiegato nel partito o nel sindacato, a prescindere dal fatto che nessuno di quei signori avesse mai pagato una marchetta. Se succedesse una cosa del genere saremmo come al solito al gioco delle tre tavolette, cioè a una truffa in piena regola. Da un lato il governo presieduto da Enrico Letta, cioè da un esponente del Pd, taglia i soldi ai partiti, dall'altro il Pd trova il sistema perché i dipendenti del partito siano scaricati sulle spalle dello Stato. Comunque vada, una cosa è certa: un'epoca è finita per sempre. Già ne avevamo intravisto le avvisaglie, quando i Ds erano stati costretti a cedere l'Unità e vendere la storica sede di Botteghe Oscure. Da tempo il partito non poteva più contare sull'oro di Mosca e le feste con le salamelle si erano rivelate solo un sistema per far transitare i flussi di denaro senza doverli giustificare. Ora però la crisi si è fatta più profonda. Gli iscritti diminuiscono ogni anno, i volontari non si trovano più e le sedi non sono più concesse in uso gratuito dai comuni a guida progressista. Risultato? C'è da mettere mano al portafogli. Ma purtroppo in quello del Pd ci sono solo i debiti. Dalle giunte rosse, nel passato vanto della sinistra, siamo arrivati solo al rosso. [email protected]