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La rabbia del Nord è più forte che mai

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Il partito di Bossi si affievolisce, però il malcontento da cui era nato sta crescendo. Il governo impone di tirare la cinghia, poi regala centinaia di milioni al Sud

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro @BepietroTweet Alle elezioni comunali la Lega non è andata benissimo. Anzi, diciamo che dalle urne è uscita piuttosto malconcia. Non c'è città in cui si sia votato in cui il Carroccio abbia guadagnato voti e non esiste  sfida nei capoluoghi che sia riuscito a vincere. A Vicenza, un tempo feudo dc e quindi leghista, l'ex fedelissima di Bossi Manuela Dal Lago è stata battuta al primo turno. A Treviso, da sempre roccaforte delle camicie verdi, Giancarlo Gentilini, il sindaco che fece togliere le panchine nel centro città per impedire che gli extracomunitari vi si sedessero, dovrà vedersela al ballottaggio con un candidato del Pd che è avanti di almeno dieci punti. Non meglio è andata in Lombardia, a Brescia ma anche in Comuni da sempre conquistati dallo spadone di  Alberto da Giussano, come ad esempio Calolziocorte.   Probabilmente ha pesato l'effetto Bossi, o meglio i guai provocati dalla corte dei miracoli che circondava il leader della Lega. E seppur falsa, la faccenda del presunto yacht  del figlio Riccardo ha contribuito ad allontanare ancor più gli elettori padani. Anche perché l'azione riformatrice di un segretario che appena eletto ha annunciato di voler passare la mano non ha prodotto ancora risultati. Tutto ciò potrebbe indurre a ritenere che il Carroccio abbia ingranato la retromarcia e, dopo anni in cui ha condizionato la politica italiana, si stia avviando verso un lento ma inesorabile  declino. Il che forse è vero, ma sbaglierebbe chi ritenesse che la crisi della Lega coincida con la fine della questione settentrionale. Forse oggi il movimento creato da Bossi non riesce più a intercettare come una volta il malessere delle regioni del Nord, ma ciò non significa affatto che queste stiano meglio o che abbiano smesso di lamentarsi. Tutt'altro. Solo pochi giorni fa il presidente di Confindustria avvisava politici e opinionisti del rischio che incombe sull'economia delle regioni più sviluppate. Per Squinzi la crisi economica potrebbe far esplodere il Nord, con le conseguenze che si possono immaginare in termini di Prodotto interno lordo perso, di posti di lavoro bruciati e - perché no - di conflitti sociali innescati. Tuttavia l'allarme di uno dei più importanti imprenditori del Paese è caduto nel vuoto o quasi. A Milano, Roma o Palermo tutto continua esattamente come prima. Una prova? Eccone due.  La scorsa settimana il governo - lo stesso che va a caccia di risorse per finanziare gli sgravi fiscali - ha stanziato due miliardi per tappare i buchi della Sanità. Come abbiamo già avuto modo di raccontare, i soldi sono stati destinati tutti a regioni del Centro Sud e tra queste la Sicilia, il Lazio, la Campania e la Calabria. Come mai i soldi sono piovuti da Roma in giù? Forse che solo le regioni centromeridionali sono in dissesto e non sanno come pagare i fornitori? No. Dati i tagli e la crisi, la liquidità scarseggia ovunque. Ciò nonostante né Piemonte né Veneto o Lombardia hanno visto l'ombra un quattrino. Forse quelli del Nord non si sono presentati a Palazzo Chigi con il cappello in mano come hanno fatto altri? Errore. Il governatore Roberto Cota si era messo in fila per reclamare un contributo ma è dovuto tornare a Torino con le pive nel sacco.  Non diversamente è andata con il decreto sblocca-debiti, quello che avrebbe dovuto restituire un po' di denaro alle aziende che lavorano per la pubblica amministrazione. La Cassa depositi e prestiti ha finora liberato quasi 2 miliardi, ma anche in questo caso la parte del leone l'ha fatta il Sud, al quale è andato oltre l'85 per cento degli anticipi di liquidità. Solo Napoli si è presa quasi 600 milioni, vale a dire poco meno di un terzo dei fondi sbloccati. Al punto che su un  giornale è comparso un titolo in prima pagina: «Lo sblocca-debiti dimentica il Nord». Non si trattava della Padania, bensì del Sole 24 Ore. Insomma, dimenticato o quasi Bossi, sconfitta la Lega e sepolto il federalismo, lo Stato, o per dirla meglio il governo, sembra aver ripreso il solito andazzo, destinando fondi a pioggia in una sola direzione. Non sono più i tempi della Cassa del Mezzogiorno, ma per la parte meno produttiva del Paese, quella da sempre più assistita e clientelare, i fondi non sembrano mancare mai, neanche con il patto di stabilità e i vincoli europei. Eppure, nel momento in cui si chiede al Paese di tirare la cinghia, nell'ora in cui si dichiara guerra agli sprechi e alle inefficienze e si promettono misure per rilanciare l'economia, i soldi non dovrebbero finanziare a fondo perduto certe regioni, ma quelle più produttive. Anche se non c'è più Bossi a minacciare la secessione e la Lega ha perso gran parte dei consensi, la questione settentrionale non è affatto morta e sepolta. La rabbia e il disagio hanno provato a indirizzarsi verso Grillo e ora potrebbero imboccare altre strade. E non è detto che siano migliori delle precedenti.

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