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Tangenti rosse: Penati ci ha presi in giro

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L'ex braccio destro di Bersani disse che si sarebbe fatto processare anche se il reato è prescritto. Ma ieri s'è scordato di formalizzare la rinuncia

Eliana Giusto
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di Maurizio Belpietro Capisco che non si possa chiedere al cappone di saltare in pentola per farsi cucinare a puntino. Ma il cappone deve capire che non può chiedere a noi di credere a tutte le sue scuse per evitare di finire arrosto. Nel nostro caso il cappone si chiama Filippo Penati, esponente di primo piano del Partito democratico in Lombardia e non solo. Fino a poco prima di rischiare un salto in padella, l'ex presidente della Provincia di Milano era il braccio destro di Pier Luigi Bersani, per il quale era stato il capo della mozione durante le primarie e poi il capo di gabinetto. Di lui si parlava come di un astro nascente, l'unico che fosse riuscito espugnare qualcosa a casa del Cavaliere. E per un certo periodo la sinistra aveva perfino pensato di ripartire da lui per tornare a contare a nord del Po. Poi, purtroppo per Penati e per il Partito democratico, è arrivata la brutta botta delle indagini giudiziarie. Tangenti à gogo per il via libera alla costruzione di certe aree dismesse dalle industrie chiuse nella Stalingrado d'Italia, la più rossa delle cittadine del Nord. E anche una brutta storia, già molto discussa nel passato ma sempre scansata dai pm, dell'acquisto della quota di una società autostradale che gestisce le tangenziali milanesi: un affare che ha indebitato la Provincia e fatto ricco l'imprenditore che ha venduto, il quale, guarda caso, nel momento in cui cedette la quota per molti bigliettoni era socio di Unipol nell'affare Bnl.   All'inizio, appena ricevuti gli avvisi di garanzia, l'ex braccio destro di Bersani ha provato a far finta di niente, dicendosi pronto a chiarire tutto e sostenendo di essere immacolato come un giglio. Ma la polemica è montata e Penati ha dovuto a malincuore farsi da parte, dimettendosi da vicepresidente del Consiglio regionale  e, successivamente, anche dal suo partito. L'addio però non è bastato a convincere i magistrati, i quali dopo anni di sonno si sono svegliati e hanno condotto pazienti indagini fino ad arrivare in giudizio. Tuttavia, sul più bello, quando cioè era ora di veder sfilare in tribunale tutti i protagonisti delle presunte tangenti rosse, ecco intervenire la prescrizione. Il governo Monti, zitto zitto, mentre stangava gli italiani e rendeva più povero il ceto medio (si vedano gli ultimi dati dell'Istat  di cui riferiamo oggi) riduceva i tempi che conducono all'oblìo i reati di cui è accusato Penati. Il quale, ça va sans dire, era all'oscuro di tutto e anzi era ed è fortemente contrario all'idea di uscire dal procedimento che lo vede imputato grazie alla scorciatoia della prescrizione. Appresa la notizia che l'accusa rischia di essere archiviata per decorrenza dei tempi, l'ex uomo d'oro del Pd in Lombardia ci è rimasto male, temendo di non poter dimostrare di essere trasparente come un cristallo. E dunque ha annunciato via comunicato stampa che al momento giusto avrebbe rinunciato alla prescrizione. Annunciato,  non richiesto. La richiesta prevede infatti l'espletamento di alcune piccole formalità, come ad esempio dare istruzioni al proprio avvocato affinché in aula respinga la prescrizione e chieda che il processo abbia luogo regolarmente, ignorando il tempo passato. E invece che cosa accade? Al momento di dire chiaro e tondo che il suo cliente vuole che i fatti siano accertati e sia comprovata la sua innocenza, il legale dice che non sa. Penati non c'è e non gli ha dato istruzioni in merito, dunque la prescrizione è accolta. Forse addirittura benvenuta. Il che, intendiamoci, è pieno diritto di un imputato. La legge prevede che dopo un tot di anni il reato non sia più perseguibile e dunque chi è accusato di averlo commesso può avvalersi del vantaggio del tempo trascorso. Nulla da eccepire nonostante lo sconto sulla prescrizione sia stato praticamente cucito su misura per Filippo Penati senza che nessuno protestasse o organizzasse girotondi come nel caso di altre leggi ad personam.   L'unica cosa che però non è accettabile è che, oltre a beneficiare dell'oblìo giudiziario, qualcuno ci prenda anche per i fondelli. È ovvio che nessuno esulti all'idea di essere processato per concussione, corruzione e altro. È legittimo che qualcuno ambisca a farla franca se la legge lo permette. Ma almeno ci sia risparmiata la messa in scena. Sono mesi che Penati annuncia l'intenzione di rifiutare la prescrizione, ma poi il gran rifiuto non arriva mai. Dopo le polemiche il Pd si è addirittura costituito parte civile contro il suo vecchio esponente e questi, via Corriere della Sera, ha risposto con dei pizzini. Ora, dopo la prescrizione, Penati dichiara un'altra volta che chiederà l'annullamento della prescrizione, così come qualche tempo fa  dichiarò che l'acquisto milionario delle azioni della Serravalle era stato un affare per la Provincia: un tale affare che la Corte dei Conti gli ha richiesto indietro 80 milioni di danni alle casse dell'ente. Ribadiamo: dal cappone non si può pretendere entusiasmo mentre lo si mette in pentola, ma almeno ci risparmi le scuse con cui giustifica la sua frettolosa fuga dalla cucina giudiziaria.  

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