Beffa Imu: persi 46 miliardi per averne 23
Il gettito copre appena la metà dei mancati incassi per gli effetti che ha provocato. Ecco perché il balzello va eliminato
di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet A meno di un nuovo rinvio, domani il Consiglio dei ministri dovrebbe decidere di far slittare la rata Imu di giugno, promettendo di rivedere completamente la tassazione sugli immobili, sia sulla prima che sulla seconda casa, oltre che sugli edifici delle imprese. Si tratta di una misura voluta dal Pdl e in prima persona da Silvio Berlusconi, il quale ha fatto dell'abolizione dell'Imu un cavallo di battaglia della campagna elettorale e una condizione irrinunciabile per dire sì al governo di larghe intese. L'insistenza del centrodestra ha però fatto storcere il naso al sindacato e a una parte del Pd, secondo i quali prima della cancellazione dell'imposta municipale unica verrebbero altri provvedimenti, ad esempio la riduzione del carico fiscale sul lavoro. Ne è nata così una discussione che punta a definire cosa sia meglio fare per rilanciare l'economia: via le tasse che gravano sugli immobili o via quelle sulle buste paga e sulle aziende? Il dibattito potrebbe apparire agli occhi dei più distratti materia per specialisti e non per gente comune, ma in realtà riguarda da vicino le tasche delle persone, perché da ciò che deciderà il governo dipenderanno sviluppi che ci interessano da vicino, ossia l'uscita dalla crisi oppure un peggioramento della stessa. Mi spiego: recentemente Luca Ricolfi, sociologo ed esperto di statistiche, ha dichiarato di essersi ricreduto riguardo all'importanza dell'Imu. Fino a ieri la riteneva una questione quasi ininfluente sulla crescita economica, a favore di interventi più diretti in materia di lavoro e imprese. Ma con il passare del tempo lo studioso torinese, noto per aver scritto un libro sull'antipatia della sinistra pur essendo di sinistra, ha cambiato idea, convincendosi che l'imposta sulla casa ha avuto un effetto depressivo ben più pesante di quanto gli indicatori rivelino. Cito Ricolfi in quanto, essendo un indagatore di fenomeni e soprattutto uno smascheratore di luoghi comuni, il suo giudizio non mi pare secondario. Il ragionamento del professore è più o meno il seguente. Il mattone costituisce da sempre una delle principali forme di risparmio delle famiglie, tassandolo dunque si colpisce direttamente ciò che gli italiani hanno accantonato per il loro futuro e per la loro vecchiaia. L'effetto psicologico perciò si rivela pesante, perché produce una preoccupazione generalizzata, che induce le persone ad essere meno tranquille. Perché se alla minaccia di perdere il lavoro si aggiunge la minaccia di perdere anche una parte dei propri risparmi sotto forma di patrimonio immobiliare è evidente che gli italiani guardano al futuro con maggior apprensione, evitando si spendere o di investire e dunque rallentando il ciclo dell'economia. Si compra di meno, di conseguenza i commercianti vendono di meno e le imprese producono anch'esse di meno. Risultato: calo del Pil e inevitabile riduzione dei posti di lavoro. L'analisi non fa una grinza, ma ho la sensazione che gli effetti dell'Imu non si limitino soltanto a generare insicurezza negli italiani, ma producano altri e ben più devastanti guai. Certo, quando fu introdotta dal governo Monti l'imposta fu giudicata necessaria per rimettere in carreggiata i conti dell'Italia. Una specie di patrimoniale indispensabile per far quadrare il bilancio. Ma siamo sicuri che il risultato finale sia proprio questo? Siamo cioè certi che gli introiti derivanti dall'Imu non abbiano fatto perdere gettito e ricchezza? L'osservazione mi pare più che pertinente dopo la diffusione dei dati sulle compravendite immobiliari. In base alle rilevazioni, nel 2012 si sono venduti e comprati 150 mila immobili in meno rispetto all'anno precedente, vale a dire che il mercato si è ridotto del 25,7 per cento. Ebbene, ogni anno il Fisco incassa sulle transizioni immobiliari, sotto forma di Iva o imposta di registro, circa 13,6 miliardi di euro. Ma se le transazioni l'anno scorso sono calate di quasi il 26 per cento è assai probabile che anche gli incassi per lo Stato siano diminuiti di una simile percentuale, ovvero di circa 3 miliardi e mezzo. Ecco: da un lato, con la prima casa, il governo preleva dalle tasche degli italiani poco più di quattro miliardi, dall'altro ne perde 3,5. Già da questi primi dati si capisce che, nonostante quel che si dica, l'Imu non è un buon affare neppure per il Fisco o per lo meno non lo è nella misura che ci è stata presentata, soprattutto se poi si valuta l'impatto psicologico sui consumi. Se poi si sommano le mancate imposte sugli intermediari, la perdita di gettito sulle imprese che lavorano nell'edilizia e la riduzione dell'Irpef dovuta ai licenziamenti nel settore, i conti cominciano a non tornare. Ma non è tutto. Secondo le statistiche in Italia il patrimonio immobiliare delle famiglie ammonta a circa 5 mila miliardi di euro, una cifra in base alla quale per i tedeschi siamo molto più ricchi di loro. A causa dell'Imu e della crisi economica il valore delle case è però diminuito. Nomisma, il centro studi fondato da Prodi, parla di un valore reale che sfiora il 17-18 per cento in meno rispetto al passato, ma il dato potrebbe superare il 30 per cento se non ci sarà ripresa. Facciamo due conti. Se ieri le famiglie avevano 5 mila miliardi di euro investiti nel mattone, in capo a un anno quel patrimonio potrebbe essersi ridotto del 30 per cento, vale a dire aver perso 1500 miliardi di euro di valore, l'equivalente del Pil dell'Italia, solo cinquecento miliardi meno del debito pubblico. Ci vuole altro per spiegare perché l'Imu va abolita in fretta sulla prima, la seconda e anche sulla terza casa? Se si vuole rilanciare l'economia non servono i piani quinquennali come in Unione Sovietica: basta ridurre le tasse.