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Assassini neri, squadristi rossi

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A Milano mattanza favorita dal buonismo, a Brescia violenza contro gli avversari politici: conseguenze della stessa tolleranza con gli intolleranti

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro Non ci faremo trascinare per mano da Mada Kabobo, il ghanese che ha ucciso a picconate un uomo - ferendone  altri quattro, di cui due molto gravemente -  in una spirale di odio contro gli immigrati. Per quanto brutale sia l'omicidio di Milano, non ce la prenderemo con i molti extracomunitari che delinquono e ciò nonostante girano impuniti per le nostre strade, liberi di commettere nuovi reati. Non ce la prendiamo con Kabobo, nonostante la bestiale caccia all'uomo scatenata con un piccone in mano ieri mattina per le vie di Milano, così come non ce la siamo presa pochi giorni fa con Ablaye Ndoye, il senegalese che a Castagneto Carducci ha barbaramente ucciso una ragazza di soli 19 anni, lasciandola morire in un campo, soffocata dal suo stesso sangue.  Ma se non ce la prendiamo con Kabobo e Ndoye non è perché loro non siano colpevoli di ciò che hanno fatto. I loro delitti sono talmente gravi e assurdi che non hanno scusanti o attenuanti. Tuttavia Kabobo e Ndoye non sono i soli responsabili. Loro sono gli autori materiali degli omicidi. Le loro mani sono macchiate di sangue, perché hanno colpito con crudeltà delle persone inermi. Nel caso  di  Milano, addirittura dei passanti: un disoccupato,  uccidendolo;  un operaio e un giovane, riducendoli in fin di vita; un pensionato e un commesso.  Persone che non avevano altra colpa se non quella di trovarsi là nel momento sbagliato. Kabobo e Ndoye dunque sono assassini senza se e senza ma. Ma se le loro mani hanno potuto uccidere è perché qualcuno gliele ha lasciate libere. Entrambi infatti dovevano essere espulsi dall'Italia. Il primo perché non aveva titolo per restarci, in quanto la sua richiesta di asilo politico era stata respinta: aveva precedenti penali per rapina, furto e resistenza, ma per incomprensibili motivi non era ancora stato rispedito nel suo Paese. Il secondo, aveva pure il foglio di via e una lista di addebiti, ma per evitare di essere imbarcato su un aereo aveva anch'egli fatto richiesta di asilo politico. Come per ogni cosa in Italia, avevano trovato una scappatoia, perché è vero che sono stranieri, ma non sono fessi. E anzi, se c'è una cosa che imparano subito appena sbarcati è come fare fessi noi italiani. Basta dichiararsi vittime, fingere di essere perseguitati, ricorrere ai mille espedienti che la nostra legislazione fornisce e alle molte inefficienze che la nostra giustizia garantisce e il gioco è fatto. Da noi si può campare, impuniti e tranquilli, basta fottersene della legge. Anche perché i nostri giudici, più che preoccuparsi degli extracomunitari che delinquono e devono essere cacciati, inseguono Berlusconi. Per incastrare il Cavaliere non si lesinano i mezzi: intercettazioni per milioni, uomini e mezzi più che contro la mafia. Per gli immigrati che stuprano, spacciano e rubano nelle case poi non restano né tempo né denaro. Figurarsi se li si trovano per due africani che devono essere rimandati a casa. Con Kabobo e Ndoye mica si finisce sui giornali. Se si passa il tempo a dar la caccia  a criminali senza fama non si diventerà mai famosi e così vai con le indagini sul Cavaliere, su Tortora (assolto), Coppola (due anni in carcere per poi essere ritenuto innocente), Romeo (altro scagionato: alla fine pur di trovargli qualcosa gli hanno appioppato un reatino piccolo piccolo), Merola (assolto), Scaglia (in attesa di assoluzione): e si tratta dei primi che mi vengono in mente. Intanto le pratiche che riguardano i tanti Kabobo e Ndoye si accumulano inevase su qualche scrivania. Il tempo passa e loro continuano a fare quello che sanno fare: vivere di espedienti e di crimini, protetti dall'inefficienza e dal buonismo che giustifica tutto e copre ogni reato. Ogni tanto ci scappa il morto, ma non è colpa di nessuno, se non dell'immigrato che è impazzito a causa del mal d'Africa. In realtà un colpevole c'è e si chiama Silvio Berlusconi. Non ci fosse lui a catalizzare tutta l'attenzione e ad aizzare la piazza rossa contro di lui e dunque a favore dei magistrati, ci renderemmo conto che la nostra giustizia fa schifo e che i Tribunali,  quelli sì,  andrebbero rivoltati come un calzino, per cacciare la politica dalle aule di giustizia e farvi ritornare il codice, quello che si applica senza interpretazioni o orientamenti. Se non ci fosse la curva rossa degli ultrà che usa i giudici per abbattere l'avversario, tutti ci renderemmo conto che la Casta con la toga deve tornare a servire la Costituzione, non a usarla per fare carriera. Qualcuno ha criticato il Cavaliere per aver portato in piazza i militanti del Pdl contro i pm che da vent'anni lo perseguono. E a sinistra hanno anche avuto da ridire perché il ministro degli Interni ha appoggiato la manifestazione. Ma se avessero un briciolo di coscienza e un minimo di onestà questi signori oggi dovrebbero ammettere che è la loro carriera politica ad essere costruita sugli errori. Ne hanno commessi talmente tanti che è loro la colpa se ci troviamo inermi di fronte a Kabobo e Ndoye. Loro hanno spalancato le porte all'immigrazione dissennata, senza scegliere chi far entrare in casa nostra. Loro hanno  protetto e foraggiato i magistrati nella speranza che facessero il lavoro sporco di far fuori l'avversario, Craxi prima, Berlusconi dopo. Sempre loro hanno blandito, carezzato e coccolato la marmaglia rossa dei centri sociali, quella che ha aggredito ieri in piazza a Brescia i pacifici manifestanti del Pdl. Gli squadristi rossi per loro sono compagni che sbagliano, compagni che dissentono con la spranga e la molotov in mano, ma sempre compagni.  Se c'è dunque una responsabilità in ciò che accade nel nostro Paese, dai criminali in libera uscita ai magistrati che usano più la falce e il martello che il codice penale  per finire ai teppisti in camicia rossa, questa è dei dirigenti della sinistra che hanno coperto e giustificato tutto nella speranza di poter prendere un giorno il potere in Italia. Sono loro a non aver disarmato le mani armate. Loro che oggi, di fronte al sangue sul selciato, dovrebbero provare un po' di vergogna.    

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