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Dai giudici una mazzata a Letta

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La sentenza di Milano indebolisce l'esecutivo: per il Pdl sarà dura restare in silenzio mentre il suo leader rischia il carcere e l'ala dura del Pd ne approfitterà per provare a sciogliersi dall'abbraccio col Caimano

Andrea Tempestini
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  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Qualche settimana fa, incontrandolo a Palazzo Grazioli per avere da lui informazioni sulle trattative per l'elezione del presidente della Repubblica, ho chiesto a Silvio Berlusconi che cosa avrebbe fatto se la Corte d'Appello di Milano avesse confermato la sentenza di condanna per i diritti televisivi. Il Cavaliere mi ha guardato un po' stupito, come se avessi parlato in una lingua  sconosciuta e lui non avesse inteso la domanda. Ci ha messo qualche istante, ma quando è arrivata, la risposta è stata secca: «Non possono condannarmi:  in questa vicenda non c'entro nulla». Ho provato a insistere, citando fonti milanesi vicine agli ambienti del Tribunale, secondo le quali la sentenza  sarebbe stata un passaggio formale che avrebbe confermato il verdetto del primo processo, ritenendo colpevole il Cavaliere di frode fiscale.   Ma il leader del centrodestra si è limitato a scuotere la testa, aggiungendo che da anni non si occupa della gestione delle sue aziende e dunque non poteva essere chiamato a rispondere di contratti risalenti al 2002-2003,  quando da presidente  del Consiglio stava a Palazzo Chigi e non a Palazzo dei Cigni, centro di produzione di  Mediaset.  Dunque, almeno fino a poche settimane fa, Berlusconi respingeva anche la minima possibilità di una conferma della condanna a quattro anni di carcerazione e a cinque di interdizione dai pubblici uffici, una sentenza che, se avallata dalla Cassazione, lo farebbe immediatamente decadere dal Parlamento e lo metterebbe a rischio detenzione. Per lui era impossibile che i giudici non accertassero la sua estraneità ai fatti e l'impossibilità che la sua azienda avesse compiuto una frode per sottrarre al Fisco tre milioni avendone pagati oltre cinquecento. E invece il Tribunale ha spazzato via in poche righe le sue certezze. Per la Corte d'appello, il Cavaliere è senza alcun dubbio l'uomo che ha organizzato e tratto vantaggio dall'evasione sui diritti tv. Non importa che il denaro non versato al Fisco non sia finito nelle sue tasche ma in quelle di un intermediario americano. Né ha contato nulla una precedente sentenza per un processo fotocopia, che qualche tempo fa ha prosciolto il leader del centrodestra da ogni accusa. I giudici sono talmente convinti della colpevolezza di Berlusconi che hanno stoppato tutte le eccezioni della difesa, evitando anche di sospendere il processo in attesa di un pronunciamento della Corte costituzionale, chiamata a valutare se la decisione di respingere una richiesta di legittimo impedimento del Cavaliere dovesse essere o no accolta.  C'è fretta di chiudere il caso. Si va spediti per ottenere la sentenza definitiva. Per questo si è evitato di ascoltare la deposizione dell'uomo accusato di essere socio di Berlusconi nella frode, l'americano Frank Agrama. E per questa urgenza - motivata dalla volontà di evitare che in attesa del terzo grado di giudizio il reato vada in prescrizione - il Procuratore generale che sostiene l'accusa ha rinunciato alla replica. Così la Corte si è ritirata e ha pronunciato il suo verdetto. Pollice verso per il Cavaliere, cui ora rimane solo la speranza che la Cassazione ribalti la sentenza,  riscontrando errori commessi durante il processo. Pollice verso anche per il governo, che si regge su un'alleanza debole e da ieri ancor più fragile. Per il Pdl infatti sarà difficile restare in silenzio e non reagire mentre il suo leader rischia le manette e l'espulsione dal Parlamento con il marchio dell'evasore fiscale che ha «una spiccata propensione a delinquere», come stabilì la sentenza di primo grado. Ma anche per il Pd sarà difficile far finta di niente. Fino a ieri Silvio Berlusconi era da ritenere innocente e formalmente ancora lo è. Ma con l'avvicinarsi del verdetto della Cassazione, che potrebbe arrivare nel giro di pochi mesi, ancora lo sarà? O, al contrario, l'ala più oltranzista del Partito democratico deciderà di approfittare della sentenza per regolare i conti all'interno del Pd e per sciogliersi dall'abbraccio con il Caimano? Come potrà un partito che non riesce neppure a esprimere un segretario o un reggente che rimettano ordine nel caos delle fazioni, ignorare la condanna e attendere la decisione della Suprema corte? Per vent'anni, cioè da quando nel 1994 il Cavaliere decise di scendere in campo e dar vita a Forza Italia, a sinistra si è coltivato l'odio nei confronti del nemico. Per i compagni, Berlusconi è il male supremo. Massimo Teodori, commentando la morte di Giulio Andreotti, ieri ha ricordato che oltre trent'anni fa, nell'interesse del Paese, il Pci andò a braccetto anche con Belzebù. Ma erano altri tempi e soprattutto erano altri dirigenti della sinistra. A Botteghe Oscure c'era Enrico Berlinguer, mica Pier Luigi Bersani e dei burocrati di partito indecisi a tutto. Viste le premesse, dunque, non c'è da attendersi molto. La sentenza di ieri, oltre a condannare il Cavaliere, puntando a liquidare una storia politica lunga vent'anni, condanna con sentenza definitiva anche il governo delle larghe intese.  

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