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Larghe intese? Occhio, qui fregatura ci cova

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I big democratici sono pronti a farsi da parte per far nascere un accordo debole, con l'unico intento di farlo saltare il prima possibile, alla faccia di Napolitano. Il loro obiettivo? Affossare Berlusconi

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro La campanella che ha posto fine alla ricreazione del Pd è suonata alle 18 in punto, quando Rosy Bindi, presidentessa dimissionaria, è stata costretta a comunicare ai compagni di partito che i tempi per discutere erano finiti. L'ora tarda imponeva la votazione, perché al Quirinale il presidente Napolitano era in attesa di ricevere la delegazione progressista per chiudere i giochi del nuovo governo. E così la direzione del Pd ha votato, approvando «a larga maggioranza» il documento di poche righe in cui il Partito democratico impegnava i propri delegati a dare pieno sostegno alle linee illustrate in Parlamento dal capo dello Stato. Con due sole priorità: l'adozione di misure urgenti per l'economia e i tagli ai costi della politica. Durante la direzione in molti, da Matteo Orfini a Laura Puppato per finire con la stessa Rosy Bindi, hanno provato a mettere dei paletti che consentissero al Pd di fare slalom fra larghe intese e scontro frontale con il Pdl, ma alla fine, per non uscire di pista, il partito  è stato costretto a guardare in faccia la realtà, quella stessa realtà che Franco Marini, candidato fresco di trombatura, ha elencato con rabbia dinnanzi alla platea. La crescita dei disoccupati, l'aumento delle famiglie in difficoltà, la crisi economica che avanza.   Rassegnati, con la pistola di Giorgio Napolitano puntata alla tempia, cioè lo scioglimento delle Camere nel caso non si trovi una soluzione che consenta al Paese di avere un governo capace di affrontare i problemi pratici dell'Italia, i compagni hanno piegato il capo e votato la risoluzione che ha dato via libera all'esecutivo.  Solo sette i contrari e 14 gli astenuti, tra questi appunto Rosy Bindi, da subito ostile alla linea delle larghe intese, che avrebbe voluto la politica delle mani libere ma è stata messa con le spalle al muro dal discorso del capo dello Stato. La presidentessa dimissionaria (ha gettato la spugna in polemica con le scelte del segretario) ha accolto le parole di Napolitano con lo stesso entusiasmo con cui si accoglie un becchino in casa. Per lei le frasi dell'inquilino del Colle hanno rappresentato una sconfessione della politica di scontro col Pdl e uno stop ai trucchi in cui dentro il Pd in tanti sono maestri,  tipo quelli del doppio binario. Già, perché la linea rappresentata dalla Bindi puntava proprio a questo, cioè alla nascita di un governo di cui facessero parte alcuni esponenti vicini al Pd, ma non direttamente riconducibili al Pd. L'altra sera in tv, per spiegare la sua contrarietà alla presenza di Enrico Letta ai vertici dell'esecutivo, la presidenta si è lasciata sfuggire che sarebbe stato consigliabile non avere fra i ministri politici dei prima fila. Già. In un momento di emergenza, meglio la seconda, così che si possa fare un governo senza lasciare le proprie impronte digitali sul luogo del delitto. Dar vita all'inciucio, ma contemporaneamente avversarlo. Ecco cosa voleva dire con la frase «serve un esecutivo a bassa caratura politica». Significava che il governo si fa, perché Napolitano lo vuole,  tuttavia senza impegnarsi troppo e senza assumersene la responsabilità pubblica. Pronti cioè a fare un passo indietro appena il momento lo consentisse.  Magari per dar vita a una formula nuova, non più con gli esponenti del Popolo della libertà, ma con i cittadini del movimento di Grillo o anche solo con una parte di essi.   La campanella, dicevamo, è suonata alle 18 e, scaduto il tempo, i compagni sono stati costretti a votare il via libera alle larghe intese. Un sì senza condizioni, senza paletti attorno ai quali fare slalom, come avrebbe voluto  Matteo Orfini. Ciò nonostante, sbaglierebbe chi credesse che la ricreazione dentro il Pd sia finita per sempre.  Come si è potuto toccare con mano durante l'elezione del presidente della Repubblica, il voto degli organi dirigenti non sempre dimostra la strada che il Pd intende percorrere.  In un partito balcanizzato, diviso in fazioni ostili l'una all'altra, ma soprattutto ostaggio delle rete, di una minoranza di iscritti che preme sui deputati e senatori, non è detto che ciò che è stato deciso oggi sia valido domani.  Nel passato, quando ancora i comunisti non si vergognavano a definirsi tali, il Pds ritirò i suoi ministri dal governo Ciampi in poche ore per il voto su Craxi e oggi la storia si potrebbe ripetere. Per quanto il capo dello Stato faccia, per quanto possa cercare di infondere al suo partito il coraggio che manca ai dirigenti, se il coraggio di fare una scelta controcorrente il Pd non ce l'ha non se lo può dare. Lo psicodramma cui abbiamo assistito ieri in diretta streaming potrebbe dunque far prendere agli eventi una piega diversa. La direzione  che oggi ha detto sì al governo in un futuro neanche troppo lontano potrebbe dire no. Occhio perciò, cari amici del centrodestra. Perché se le cose stanno così, se l'alleato con cui state stringendo un patto si comportasse come ha fatto con Franco Marini, l'accordo sarebbe scritto sull'acqua. E dalle larghe intese si potrebbe facilmente passare alla stretta finale contro il Cavaliere e il Pdl.      

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