Cerca
Cerca
+

Muti al Quirinale per suonarle a tutti

default_image

Per il dopo Napolitano finora sono stati proposti solo nomi di parte o avanzi di Prima o Seconda Repubblica. Ma una personalità di prestigio in grado di rompere gli schemi e apprezzata nel mondo intero c'è: il grande Maestro d'orchestra

Nicoletta Orlandi Posti
  • a
  • a
  • a

di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Messa nel freezer la questione del nuovo governo, con il congelamento di Pier Luigi Bersani e lo scongelamento di Mario Monti, il problema con cui le forze politiche dovranno misurarsi già dalla prossima settimana sarà quello del Quirinale. Prima che i saggi nominati da Giorgio Napolitano concludano il loro lavoro, ci sarà da decidere il nome del prossimo presidente della Repubblica e la scelta sarà fondamentale per i futuri equilibri. Chi salirà al Colle potrà infatti condizionare la formazione del nuovo esecutivo, oltre a poter affrettare la fine della legislatura nel caso in cui in Parlamento non si trovi una maggioranza. Come si capisce, la questione del capo dello Stato è dunque di vitale importanza. Proprio per questo ci permettiamo qualche riflessione, segnalando che a nostro avviso una soluzione ci sarebbe e potrebbe davvero consentire di mettere da parte le beghe in cui le nostre forze politiche sono specialiste. Finora i nomi che si sono fatti per l'alto incarico più che unire servono a dividere. Anzi, alcuni sono stati usati come spauracchio:  attenti, che se non accettate di votare il nostro governo, al Quirinale ci mettiamo un mozza orecchi. È il caso di Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky, insigni giuristi che però, essendo favorevoli all'ineleggibilità di Berlusconi, più che da votare appaiono candidati da minacciare: una pistola puntata contro il capo del centrodestra per costringerlo alla resa. I nomi che invece potrebbero mettere d'accordo sia destra che sinistra, facendo convergere un'ampia maggioranza, presentano altre controindicazioni. È il caso di Giuliano Amato, prêt-à-porter adatto ad ogni stagione, il quale piace ai partiti, un po' meno agli italiani, che ancora se lo ricordano per il colpo di mano notturno sui conti bancari, per la tripla pensione e per la brillante proposta di riduzione del debito pubblico a carico di chiunque abbia un reddito superiore ai 100 mila euro. Tra gli avanzi della prima Repubblica avanza poi il nome di Romano Prodi, che avendo un curriculum ricco di poltrone, vorrebbe aggiungere quella mancante di inquilino del Colle. L'ex presidente del Consiglio pare che, oltre a Bersani, piaccia pure a Grillo, il quale però deve avere la memoria corta ed essersi dimenticato - lui che tuona contro l'euro e minaccia un referendum sulla moneta unica - che fu il professor Mortadella a condurci in Europa e a pensionare la lira facendoci pagare l'eurotassa. Da un avanzo all'altro, ma questa volta della seconda Repubblica, sembra invece sfumata l'ipotesi Monti, il quale a forza di brigare per uno strapuntino ha fatto naufragare la sua autocandidatura a presidente. Tra le ipotesi in circolazione, tra i pentastellati prende quota quella di Gino Strada, il medico di Emergency, forse  come soluzione di emergenza in caso di naufragio dell'Italia, ma a quanto sembra piace solo ai grillini. Insomma, finora la rosa di potenziali candidati  non pare avere la caratteristica richiesta, quella cioè di essere una figura di prestigio che non faccia gli interessi di una sola parte. A furia di sfogliare i nomi, alle forze politiche è rimasto in mano solo un fiore senza petali ma con tante spine. E allora noi un'idea l'avremmo. Si tratta di una persona apprezzata e stimata in tutto il mondo, che non ha colorazione politica. Non venendo dalla militanza, romperebbe gli schemi, restituendo però alla presidenza della Repubblica prestigio e autorevolezza. Il nome? Non è quello di Mario Draghi - che già avevamo avanzato, ma che al momento è indisponibile, occupato com'è ai vertici della Bce - bensì quello di Riccardo Muti. Il grande direttore d'orchestra non ha alle spalle un partito né si è mai schierato a favore di qualche bandiera. È un napoletano che per anni ha diretto la Scala di Milano e le più grandi orchestre in Italia e nel mondo, facendosi onore come pochi. Diciamo che tra gli italiani, fatta eccezione per Bocelli, è forse il più famoso, più di Renzo Piano, che pure non dispiace a Grillo, essendo uno dei suoi amici. Qualcuno obietterà che Muti non ha esperienza istituzionale e nulla sa di economia o politica, argomenti che al Quirinale si masticano come il pane. Vero. Ma di uomini di cultura che si sono rivelati migliori dei professionisti della politica ne abbiamo qualcuno, basti pensare a Václav Havel, che da scrittore e drammaturgo fu eletto presidente della Repubblica Ceca, rivelandosi un eccellente statista. Perché dovrebbero essere migliori Zagrebelsky o Rodotà rispetto a Muti? Solo perché il primo a fare questo nome è stato Vittorio Sgarbi in uno dei suoi eccessi verbali? Perché non potrebbe essere un grande direttore d'orchestra a pacificare il Paese, restituendo all'Italia dignità e orgoglio? Perché, insomma, il Quirinale deve necessariamente essere merce di scambio fra i partiti e non un'istituzione al servizio del Paese? Si attendono risposte.

Dai blog