
E' tornata la monarchia

Il Colle impose Monti senza il consenso degli italiani e il Prof ha fallito. Ora fa lo stesso con un gruppo di "migliori" scelti da lui: tanto vale chiudere il Parlamento
di Maurizio Belpietro Quando, nel novembre del 2011, il capo dello Stato decise di sostituire un governo legittimamente eletto, anche se dimissionario, con uno da lui stesso nominato senza passare al vaglio degli italiani, criticammo la mossa di Giorgio Napolitano, spiegando che si trattava di una grave forzatura costituzionale e all'esecutivo dei tecnici opponemmo la soluzione di restituire la parola agli elettori. Come si sa, il presidente della Repubblica tirò dritto per la sua strada, ignorando le critiche, e così in fretta e furia nacque il governo Monti. Quanto sia stata sbagliata la scelta di allora lo tocchiamo oggi con mano, perché dalla decisione di affidare la guida del Paese a un gruppo di professori derivano gran parte dei guai con cui siamo alle prese ora. Illudendosi che bastasse insediare a Palazzo Chigi un ex rettore della Bocconi per risolvere i problemi del Paese, l'inquilino del Colle non solo ha contribuito a peggiorare la situazione economica dell'Italia, ma ha anche provveduto a creare tutti gli equivoci di cui oggi siamo vittime. Se si fosse votato subito, il Movimento Cinque Stelle non sarebbe cresciuto come sappiamo; se gli italiani fossero stati chiamati a pronunciarsi nella primavera del 2011, Monti non ci sarebbe stato e dunque neppure il suo partito. Insomma, destra e sinistra si sarebbero confrontate lealmente e gli elettori avrebbero scelto l'una o l'altra parte, senza disperdere i voti e senza che dall'urna uscisse un risultato indecifrabile. Qualche lettore a questo punto si domanderà perché la facciamo tanto lunga rievocando vicende del passato che dovrebbero essere morte e sepolte. La storia non si fa con i se e con i ma, dunque quello che è stato è stato e tocca guardare avanti e cercare di risolvere i problemi che ci vengono posti. Ma è proprio questo il punto. Ossia che la soluzione che ci viene prospettata dal capo dello Stato ripercorre la stessa strada di un anno e mezzo fa e anziché affrontare i temi che abbiamo davanti, cercando di risolverli, tenta una via traversa, ancora una volta poco chiara, che rischia di peggiorare una situazione già gravemente compromessa. Se Napolitano voleva mettere una pezza, beh, per usare un'espressione nota in Veneto, peggio il tacòn del buso. A nostro modo di vedere, dallo stallo in cui ci troviamo si esce solo in due modi: o un governo vero sostenuto dalle due principali forze politiche, ossia Pd e Pdl, oppure le elezioni. Se i partiti non si mettono d'accordo devono decidere i loro elettori, non un capo dello Stato che gli italiani non hanno eletto, non un presidente il cui potere è quello di controfirmare le leggi, di sciogliere il Parlamento, di accettare il giuramento dei ministri, di presiedere il Csm e di guidare le forze armate, ma non di fare i governi e tanto meno di nominare strane commissioni che fissino programmi e riforme. Ciò che ieri il capo dello Stato ha proposto come soluzione alla crisi politica non solo travalica dalle sue funzioni, trasformandoci in una specie di Repubblica presidenziale senza che nessuno lo abbia deciso e voluto, ma è un pasticcio istituzionale che, anziché contribuire a chiarire le cose, le complica. Napolitano aveva la possibilità di spingere il suo riottoso partito ad accettare una soluzione di buon senso, ovvero un governo di unità nazionale. Oppure di avviare un governo di minoranza che al Senato sarebbe stato battuto e sarebbe rimasto in carica per un mese o due in attesa dello scioglimento delle Camere. Invece di scegliere tra due opzioni nel rispetto della Costituzione, l'uomo del Colle ha deciso di lasciare in carica per gli affari ordinari Mario Monti, nonostante sia dimissionario e screditato dopo la vicenda dei marò. E nel frattempo ha dato vita a due commissioni di esperti scelti fra i partiti, affidando loro compiti che toccano al Parlamento. Ma se bastano dieci saggi per fare la riforma elettorale e scrivere le leggi per il rilancio dell'economia, a che servono mille onorevoli? Meglio mandarli a casa e chiudere sia Palazzo Madama che Montecitorio, due baracconi che ci costano un miliardo e mezzo l'anno. A che servono le elezioni, cioè un rito che ci fa spendere 400 milioni, se poi quando c'è da decidere del governo fa tutto Napolitano e il risultato è ininfluente? Perché diamo 160 milioni ai partiti, se quando è l'ora a risolvere le questioni ci pensa nonno Giorgio con dieci consulenti? Liquidiamo tutto. Mandiamo a casa deputati e senatori, commessi e grand commis, aboliamo le elezioni e cancelliamo i partiti: in un sol colpo avremmo risparmiato due miliardi, vale a dire la metà dell'Imu sulla prima casa. Certo, così facendo avremmo azzerato la democrazia e ripristinato la monarchia. A decidere per tutti ci penserebbe il Presidente della Repubblica, Re Giorgio I, il quale governerebbe con i corazzieri e i consulenti a cavallo. Del resto Napolitano il physique du rôle del sovrano ce l'ha, non a caso ricorda Umberto di Savoia, l'ultimo re d'Italia. Scherziamo, naturalmente. Perché non pensiamo che i guai del nostro Paese li possa risolvere un signore che si avvicina ai novant'anni. Lui al massimo può fare un golpe e decidere, come dice Grillo, che l'Italia non ha bisogno di un governo e, forse, neanche di un Parlamento, rivelandosi in questo più grillino del santone di Genova. Quello di Napolitano è il colpo di Stato del capo dello Stato. Un colpo di mano che rende inutile tutto, anche l'esercizio della democrazia. Una specie di colpo di grazia alla nostra precaria Repubblica. Povera Italia.
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