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Berlusconi condannato anche per gli altarini rossi

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Caso Unipol, un anno a Silvio per la telefonata Fassino-Consorte. Il Cav paga per aver contribuito ad alzare il velo sulla vicenda

Andrea Tempestini
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  di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Silvio Berlusconi è il politico più intercettato d'Italia e anche il politico sulle cui vicende giudiziarie si è registrato il maggior numero di violazioni del segreto istruttorio, con la pubblicazione di ogni suo sospiro sulla stampa nazionale e perfino la diffusione via web delle registrazioni delle sue telefonate. Ma, paradosso dei paradossi, è anche il primo italiano a memoria d'uomo ad essere condannato per concorso in rivelazione di una intercettazione. I giudici di Milano gli hanno infatti affibbiato un anno di carcere tondo tondo per aver ascoltato la conversazione non trascritta fra Piero Fassino, all'epoca segretario dei Ds, e Giovanni Consorte, in quel periodo numero uno di Unipol, l'assicurazione delle Coop. Nella telefonata fra l'allora leader dei compagni e il finanziere caro ai progressisti c'era la famosa frase: «Abbiamo una banca», una battuta che scoperchiò il meraviglioso mondo della sinistra di lotta e di portafoglio prima ancora dello scandalo del Monte dei Paschi di Siena.   Se si vuole capire fino in fondo quello che è successo ieri, con la sentenza di condanna del Cavaliere, bisogna però addentrarsi un po', ricostruendo quello che accadde otto anni fa, all'inizio dell'estate del 2005, quando l'Ulivo di Romano Prodi si preparava a prendere il governo del Paese e i banchieri italiani erano impegnati in una guerra di potere e di denaro che sfocerà poi nell'acquisto di Antonveneta da parte di Mps, con la stecca miliardaria di cui si discute in questi giorni e i risvolti drammatici che l'altra sera hanno portato alla morte del responsabile della comunicazione di Rocca Salimbeni.  Allora, vediamo di riepilogare. Il 28 giugno del 2005 Bruno Binasco, braccio destro di un imprenditore molto attivo nel settore delle autostrade, parlando di una sconosciuta operazione Serravalle dice che il problema non è Filippo Penati, in quel periodo presidente Ds della Provincia di Milano, ma Gabriele Albertini, all'epoca sindaco del capoluogo lombardo. La conversazione è intercettata, ma a quanto pare nessuno approfondisce la storia. Il 30 giugno dello stesso anno Pier Luigi Bersani, all'epoca europarlamentare dei Ds, dice a Marcellino Gavio, l'imprenditore di cui Binasco è braccio destro, che ha parlato con Filippo Penati. La conversazione è intercettata, ma nessuno si chiede di che cosa abbiano parlato Bersani e Penati che possa interessare a Gavio. Il 5 luglio l'allora presidente della Provincia di Milano telefona a Gavio e così esordisce: «Buongiorno, mi ha dato il suo numero l'onorevole Bersani», poi fissa un appuntamento con l'uomo d'affari. La conversazione è intercettata, ma non viene intercettata la successiva, quella che Penati e Gavio faranno di persona. Il 18 luglio la Sias, società del gruppo Gavio, e Unipol siglano l'accordo con cui la prima mette a disposizione dell'Unipol di Consorte le azioni Bnl in suo possesso, che equivalgono allo 0,5 per cento: presidente della Sias è Bruno Binasco. Il 29 luglio la Provincia di Milano acquisisce dal gruppo Gavio il 15 per cento delle azioni della Milano Serravalle, ossia della società che gestisce l'autostrada per Genova, le tangenziali meneghine e tutti i progetti di sviluppo viario della Lombardia. L'imprenditore di cui Bruno Binasco è braccio destro realizza così una plusvalenza di 180 milioni di euro, vendendo a quasi nove euro l'una le azioni che un paio d'anni prima aveva comprato a tre. Anni dopo la Corte dei Conti stimerà un danno erariale di 80 milioni di euro. Il 3 agosto 2005 una delle società del gruppo Gavio che ha ceduto le azioni della Serravalle alla Provincia di Milano versa 14 milioni di euro alla Banca Popolare di Gianpiero Fiorani, in quel momento impegnato a sostenere Giovanni Consorte, amministratore delegato di Unipol, la compagnia d'assicurazione delle Coop, nella scalata alla Banca Nazionale del Lavoro. Altri 31 milioni la società di Gavio li versa alla Banca di Roma. Il 16 settembre Gabriele Albertini, sindaco di Milano, sul Corriere della Sera invita i pm lombardi a indagare sui rapporti tra Gavio e le Coop. Il 22 ottobre Albertini presenta una denuncia in procura, sostenendo che Penati ha pagato la scalata di Gavio a Bnl, in accordo con Unipol: dell'esposto dopo un po' si perde traccia. Il 20 dicembre gli ispettori di Bankitalia esprimono perplessità sull'operazione e fermano Unipol, adombrando dubbi sui conti della compagnia di assicurazione. Natale 2005, si parla di guadagni sospetti di Giovanni Consorte e addirittura di conti esteri. Il 2 gennaio 2006 Il Giornale pubblica un'intercettazione - relativa al 17 luglio, dunque prima che la scalata prendesse ufficialmente forma - in cui, riferendosi alla scalata alla Banca Nazionale del Lavoro, il segretario dei Ds Piero Fassino dice a Giovanni Consorte: «Abbiamo una banca», dimostrando di essere al corrente da tempo dell'operazione patrocinata da Unipol.  Il 20 marzo 2007 i pm di Milano chiedono di poter utilizzare le intercettazioni telefoniche in cui alcuni parlamentari parlano con Giovanni Consorte della scalata a Bnl. Si viene così a sapere che, oltre a Fassino, a intrattenere rapporti con l'amministratore delegato di Unipol erano anche Nicola Latorre (Ds) e Massimo D'Alema. L'allora presidente dei Ds, in una conversazione con Consorte, allude anche a problemi di comunicazione e qualcuno, maliziosamente, ne deduce che parli del rischio di intercettazioni telefoniche.  Il 20 luglio 2007 il giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo invia a Camera e Senato la richiesta di utilizzare le telefonate fra Consorte e i vertici dei Ds ai tempi della scalata Unipol-Bnl. Il gip intende valutare se ci siano reati quali aggiotaggio informativo e insider trading e ipotizza che i parlamentari non fossero semplici tifosi, ma sostenitori del progetto di Consorte. Il 10 settembre Fassino e D'Alema attaccano apertamente la Forleo, parlando di «tratti anomali» nell'inchiesta: il presidente dei Ds addirittura accusa il gip di «acrimonia». Il 19 settembre la Camera si ricorda che all'epoca delle intercettazioni D'Alema era europarlamentare, dunque l'autorizzazione dev'essere richiesta a Strasburgo: gli atti vengono rinviati al gip. Per Fassino invece l'autorizzazione è concessa, ma i documenti vengono girati, anziché al gip, alla procura, la quale dopo un paio di mesi, assente per pochi giorni Clementina Forleo, rimanda tutto a un altro gip. Alla fine per Fassino e Latorre non si procede. Quanto a D'Alema, l'Europarlamento nega l'autorizzazione all'utilizzo delle conversazioni. Il 27 agosto 2008 la Procura generale della Cassazione chiede il trasferimento di Clementina Forleo per la richiesta di utilizzo delle intercettazioni di D'Alema e Fassino. Il Csm respinge la richiesta, ma di lì a qualche mese la gip viene accusata di ritardi nello svolgimento del proprio lavoro e di incompatibilità ambientale e per questo trasferita d'ufficio a Cremona. Il 25 maggio 2010 viene arrestato Fabrizio Favata. È partner di una società specializzata in intercettazioni, accusato di aver portato a Silvio Berlusconi e suo fratello Paolo il nastro con la telefonata tra Fassino e Consorte. Agosto 2011: la procura di Monza, dopo aver indagato Filippo Penati, Bruno Binasco e altri per tangenti, iscrive nel registro degli indagati l'ex presidente della Provincia di Milano per l'operazione Serravalle: il sospetto è che l'acquisto delle azioni che costò all'ente pubblico 80 milioni in più nascondesse delle tangenti. La procura ipotizza inoltre che il gruppo Gavio, tramite Binasco, abbia finanziato i Ds. Peraltro Bruno Tabacci, attualmente assessore al Bilancio della giunta milanese di centrosinistra, ribadisce quanto già altre volte sostenuto: «I soldi della Serravalle servivano per finanziare la scalata di Unipol a Bnl».  Il 15 settembre 2011 il gip di Milano chiede il processo per Silvio Berlusconi, nonostante la richiesta di archiviazione della Procura. L'accusa è di concorso in rivelazione di segreto d'ufficio a proposito della telefonata Fassino-Consorte. Nell'ordinanza il gip si occupa anche del sottoscritto, in quanto direttore responsabile de Il Giornale quando l'intercettazione venne pubblicata. E, nonostante il pm non lo avesse neppure ipotizzato, chiede la mia iscrizione nel registro degli indagati per concorso in rivelazione del segreto d'ufficio.  Berlusconi sarà processato con l'accusa di aver rivelato i dettagli di un'inchiesta. Penati e compagni, sospettati di aver preso tangenti, non si sa.  Ogni commento lo lascio ai lettori. Quelli che hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui, a questo punto avranno capito che  l'articolo appena letto non è di ieri. Infatti lo scrivemmo un anno e mezzo fa, quando nel settembre del 2011, il giudice per le indagini preliminari chiese di procedere contro Berlusconi  nonostante il parere contrario della Procura. Sì, avete letto bene, per una volta i pm erano dell'idea che il Cavaliere andasse prosciolto, perché non c'erano prove che egli avesse concorso alla violazione del segreto istruttorio, e, forse, aggiungiamo noi, perché qualche dubbio sull'attendibilità dell'accusatore di Berlusconi lo nutrivano (e guarda caso con la sentenza di ieri il tribunale dimostra di credere solo per metà alle sue chiamate in correo, assolvendo il fratello del Cavaliere dall'insinuazione di essersi fatto pagare per loschi affari). Però, nonostante lo scetticismo dei pubblici ministeri, il gip ha disposto il processo e il risultato lo si è avuto con la sentenza di condanna.  Nell'articolo di un anno e mezzo fa, oltre a dare notizia dell'imminente processo a carico di  Silvio Berlusconi ci chiedevamo però se mai ci sarebbe stato un giudizio per Filippo Penati e i compagni del cosiddetto «Sistema Sesto». La risposta è di qualche giorno fa. I coimputati dell'ex presidente della Provincia di Milano ed ex braccio destro di Pier Luigi Bersani sono usciti di scena senza alcuna condanna. Grazie alla legge anti-corruzione fatta dal governo Monti i loro reati si sono prescritti in un amen. Rimangono ancora in piedi le accuse nei confronti di Penati, che ha adottato una strategia difensiva diversa, ma vedremo se quando sarà il suo turno l'ex capo di gabinetto del segretario Pd rinuncerà davvero alla prescrizione, così come in questi mesi, ha ripetuto sui giornali. Nel frattempo possiamo dire che la geniale operazione che portò la Provincia di Milano a indebitarsi per comprare una quota dell'autostrada Serravalle a una cifra stratosferica si è risolta in un bagno di sangue a spese del contribuente. L'ente non ha più un soldo e l'asta per vendere la quota della società comprata a caro prezzo da Penati  & C. è andata deserta.  Ma, come detto, il processo lo hanno fatto a Berlusconi, ritenuto una delle persone che contribuì ad alzare il velo sugli altarini rossi, mentre una cappa di piombo e ora di tragedia è calata su il Monte dei Paschi di Siena. Ripetiamo dunque quanto scrivemmo nel 2011: ogni commento è lasciato ai lettori.  

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