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Il piano del Pd: Prodi al Quirinale e Berlusconi in cella

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I democratici vogliono eleggere l'ex premier al Colle in attesa che, entro Natale, la sentenza Mediaset faccia fuori l'odiato Silvio (e garantisca il potere ai compagni)

Andrea Tempestini
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di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet Come andrà a finire, mi chiedono allarmati parecchi lettori interessati a capire come si esce dall'impasse politico - istituzionale in cui ci siamo cacciati. La mia risposta è lungi dall'essere tranquillizzante: andrà a finire male, anzi malissimo.  E non solo perché le elezioni hanno portato in Parlamento una banda di allegri buontemponi, che vorrebbero riportarci a vivere come i nostri nonni (leggete a pagina 10  le proposte di alcuni esponenti del Movimento Cinque stelle e in particolare l'idea di abolire gli assorbenti  igienici femminili per sostituirli con la coppoletta della luna), ma in quanto un gruppetto di signori - i soliti - sta cercando di fare i suoi giochetti sulla pelle degli italiani. La situazione è la seguente: Bersani e compagni non hanno nessuna intenzione di fare un accordo con Berlusconi e il centrodestra, ma nemmeno vogliono trovare un'intesa con Grillo e con gli esponenti del suo partito.  Né sono veri i minacciosi propositi di ritornare alle urne:  dentro il Pd sanno bene che questa è un'ipotesi impossibile   e poi non è detto che da una nuova tornata elettorale il Partito democratico esca vittorioso. Da due mesi di discorsi bersaniani la sinistra  è uscita con le ossa rotte, perdendo tra il cinque e il sette per cento dei consensi, figuratevi se la campagna per il voto durasse da qui a giugno: il Pd lo troveremmo dimezzato. E allora che succede? Semplice, la sinistra che si è convinta di aver vinto le elezioni vuole eleggere il suo capo dello Stato per mettersi tranquilla e non avere sorprese. E chi sarebbe la persona in grado di tutelare il Pd da ogni rischio? Giuliano Amato? Mario Monti, Anna Finocchiaro o il ministro Rosanna Cancellieri come qualcuno ha ventilato? Ma no, il candidato naturale è il collaudato Romano Prodi, uno che avendo occupato tutte le poltrone possibili può rivendicare per sé l'incarico più elevato, quello sul Colle. L'ex ministro ed ex presidente dell'Iri, del Consiglio e della Ue ha dalla sua le ragioni del risarcimento morale confezionatogli su misura nell'ultima settimana, ovvero il caso De Gregorio. Come è noto, da quando esiste il Parlamento esiste anche la compravendita di parlamentari. All'epoca del primo governo D'Alema ne passò un blocco intero dal centrodestra al centrosinistra. Uno di essi, premiato con un incarico di sottosegretario, arrivava direttamente del Movimento sociale. Tutti filantropi fulminati sulla via di Baffino? Ma è ovvio. Benefattori dell'idea progressista, voltagabbana per il bene dell'umanità, mica per un posto da ministro. Epperò, nonostante il mercato delle vacche (copyright Grillo) sia in voga da tempo,   l'unico a finire nel mirino è stato Silvio Berlusconi.  Fa nulla che la storia - se vera - risalga a sette anni fa né che non abbia  a che fare con la caduta del governo dell'Ulivo nel 2008. Sulla grande stampa è passato il concetto che Prodi fu vittima delle trame di Berlusconi, mentre, come è facilmente dimostrabile con una semplice ricerca d'archivio, il suo governo cadde perché gli tolsero la fiducia i parlamentari dell'Udeur  (in seguito alle inchieste di Luigi De Magistris),  Franco Turigliatto, parlamentare di Rifondazione comunista, e Domenico Fisichella, uno che era stato in An per poi finire nella Margherita. Con De Gregorio o senza De Gregorio (che era di fatto passato con il centrodestra un secondo dopo essere stato eletto), Prodi sarebbe dunque caduto lo stesso, perché il voto finì a 161 a 156. Dunque? Dunque le stigmate del martire berlusconiano porteranno Prodi sul Colle. Ma questo è solo il primo passo, perché messo Mortadella sulla poltrona quirinalizia, ecco il resto, ovvero un governo balneare che galleggi da qui all'autunno, massimo primi di dicembre, giusto in tempo per ricevere uno splendido regalo di Natale, ossia Berlusconi ai ceppi. Già, perché la sentenza di secondo grado nel processo per i diritti Mediaset dovrebbe arrivare entro questo mese, e lavorando di lena si può giungere a una condanna definitiva proprio prima della fine dell'anno. Per la sinistra sarebbe un dono magnifico, perché quello che non sono riusciti a fare lo spread, Monti, Bersani e neanche Grillo alla fine riuscirebbe ai soliti giudici, i quali metterebbero fuori gioco, finalmente, l'odiato Cavaliere. Si tratterebbe del delitto perfetto, che toglierebbe di mezzo l'unico vero avversario dei compagni. Senza di lui il Pdl si scioglierebbe come neve al sole e trovare i numeri per sostenere un governo della sinistra, garantendo al Pd e ai suoi alleati cinque anni di tranquillità, sarebbe un giochetto da ragazzi. In tal caso non si parlerebbe più di vincolo di mandato per i parlamentari, né di compravendita o di mercato delle vacche, ma solo di senso di responsabilità. Lo stesso senso di responsabilità che spinge il quotidiano portavoce dei progressisti nazionali a farsi promotore di una raccolta di firme per dichiarare ineleggibile Berlusconi. Ovviamente, in nome della democrazia. Che il 30 per cento degli italiani, solo 124 mila persone in meno di quelle che hanno votato Pd, veda cancellato il proprio leader per far posto a Bersani e consentirgli di governare, a Repubblica importa poco. Ciò che conta è chiudere per sempre la guerra dei vent'anni. Rinchiudendo il Cavaliere in cella.

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