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Così Bersani ci manda in rovina

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Per chiudere il patto coi grillini, dovrà mettere nelle loro mani scelte cruciali per il Paese in un momento tremendo. Finirà male e il conto lo pagheremo noi

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro @BelpietroTweet L'uomo che ieri, a ventiquattr'ore dal voto, si è presentato alla stampa, più che il segretario di un partito che ha vinto le elezioni pareva l'officiante di un rito funebre. Il volto, i gesti e perfino il linguaggio tradivano il disagio di Pier Luigi Bersani, leader costretto a rivendicare una vittoria che non c'è. Mai nella scelta delle parole il numero uno del Pd era parso così incerto e così inadeguato come lo è stato di fronte alle telecamere e ai taccuini dei cronisti. Nel passato, con le sue funamboliche espressioni, Bersani aveva spesso strappato un sorriso, riuscendo perfino a risultare simpatico e divenendo oggetto di una esilarante imitazione da parte di Maurizio Crozza. Ma ieri, in quella che invece di una conferenza è apparsa subito una sofferenza stampa, il compagno segretario non aveva nulla di divertente, niente che apparisse lieve. Le espressioni  popolari e contadine che lo hanno reso famoso hanno lasciato il posto a parole burocratiche e frasi involute, visibilmente incomprensibili. Pur dichiarando di non accettare più di parlare per enigmi, il segretario del Partito democratico si è espresso con locuzioni oscure, come un novello Aldo Moro, cioè come un maestro nell'arte di dire senza farsi capire. Credo che nessuno nella sostanza abbia inteso che cosa davvero voglia fare e dove voglia andare il capo della sinistra. L'uomo che ha vinto le elezioni,  o che per lo meno dice di averle vinte anche se non ha i numeri per governare, invece di fare un discorso netto al Paese, offrendo una soluzione per uscire dall'impasse politica in cui si è cacciato, si è limitato ad allusioni, non lasciando intuire nessuna visione chiara per il futuro. Bersani ha parlato molto di senso di responsabilità e si è detto pronto ad assumerne la parte che gli spetta, ma al dunque, quando si è trattato di dire davvero qualcosa di responsabile, ovvero di offrire una via che portasse alla pacificazione del Paese, consentendo di prendere quelle decisioni di cui l'Italia ha bisogno e che l'Europa auspica, al segretario del Pd è mancato il coraggio. Il leader della sinistra, l'uomo che molto probabilmente nelle prossime settimane verrà chiamato da Giorgio Napolitano a formare il nuovo governo, si è limitato a dire che proporrà riforme istituzionali, interventi sui costi della politica, impegni per un'azione europea e per il lavoro. Come e a chi offrirà tutto ciò non lo ha specificato, ma rispondendo alle domande ha fatto capire che, se apertura ci sarà, questa avverrà solo nei confronti di un grande movimento di opinione. Ogni riferimento al partito di Beppe Grillo era ovviamente voluto. È a lui, a suoi deputati e senatori, che Bersani si rivolge. È con loro che pensa di avviarsi sul cammino accidentato della formazione di una nuova maggioranza. È infatti al Movimento Cinque stelle che il segretario del Pd intende offrire la presidenza della Camera (non quella del Senato, dove i numeri sono deboli, ma quella di Montecitorio dove, anche se non occupa lo scranno più alto, grazie ai seggi ottenuti con il premio di maggioranza del famigerato Porcellum, il Partito democratico potrà fare il bello e il cattivo tempo). In questo modo, così come fece Romano Prodi sette anni fa, il leader della sinistra commette un grave errore. Anche allora, nonostante i numeri fiacchi, il presidente del Consiglio incaricato ritenne di rifiutare l'offerta di Silvio Berlusconi che gli tendeva una mano. Il Cavaliere, sconfitto per soli 24 mila voti, era pronto a collaborare con l'Unione per un governo che cambiasse l'architettura istituzionale, ma il professor Mortadella respinse la proposta. Come finì è noto: la legislatura si chiuse anticipatamente senza che la sinistra fosse riuscita a concludere granché. La situazione ora rischia di ripetersi e per di più nel momento peggiore, cioè mentre l'Italia è nel pieno della tempesta e in luogo di una guida incerta avrebbe necessità di un timoniere fermo e deciso. Cosa faranno Bersani e  la sua coalizione composta da Pd, Sel e grillini, nel momento in cui si dovrà decidere di varare una nuova manovra correttiva dei conti pubblici, come sembra ormai certo? Come risponderà il presidente del Consiglio quando gli esponenti del Movimento Cinque stelle gli chiederanno di attuare il loro programma in merito al salario di cittadinanza (cioè uno stipendio per tutti, anche per chi non lavora) o per quanto riguarda le opere pubbliche e le trivellazioni petrolifere? Che ne sarà di una maggioranza al cui interno vi è una componente che è fortemente critica nei confronti dell'Euro e dei patti europei? Insomma, imboccando la strada di un'alleanza con Grillo e il suo movimento antisistema, a noi pare che Bersani abbia compiuto un azzardo. Ciò non ci importerebbe molto, naturalmente, se la scelta riguardasse la sinistra e i suoi adepti. Ma purtroppo, così come accadde nel 2006 quando Prodi abolì la riforma delle pensioni e la sinistra la riduzione dei parlamentari voluta dal centrodestra, il conto alla fine lo dovranno pagare tutti gli italiani. E proprio mentre il portafoglio piange.

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