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I veri comici ormai sono i politici

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Tutti sparano sul Cavaliere, ma da Giannino a Prodi fino a Monti ecco chi fa davvero ridere

Eliana Giusto
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di Maurizio Belpietro Il nuovo che avanza ha la faccia di Romano Prodi e Massimo D'Alema.  Fiutando aria di vittoria, i due galli  si sono beccati ieri nel pollaio della sinistra. Ha cominciato il primo, salendo sul palco di fianco a Pier Luigi Bersani e distillando una delle sue massime.  Il senso  più o meno era questo: votateci perché siamo cambiati, non siamo più quelli del passato, la lezione l'abbiamo imparata. Ogni riferimento a quanto accaduto ai precedenti governi del professor Mortadella  ovviamente era voluto, in particolare alla loro fine prematura.  Il primo esecutivo a guida progressista, come è noto, finì anticipatamente a causa delle liti interne e il solo a beneficiarne fu Massimo D'Alema, il quale grazie alla caduta di Romano si fece issare sulla poltrona di Palazzo Chigi in sua sostituzione, nonostante nessun italiano l'avesse mai eletto al soglio di primo ministro.  L'ex segretario dei Ds deve essersi risentito per la battuta del professore e perciò ha replicato da par suo, invitandolo, tramite Velina rossa, a stare al proprio posto senza allargarsi, perché chi entra Papa in conclave è probabile che ne esca cardinale. Anche in questo caso, ogni riferimento alle ambizioni di Mortadella di divenire presidente della Repubblica era ovviamente voluto.  È chiaro che Prodi negherà fino alla morte, ma il suo ritorno dall'Africa ha come obiettivo il Colle. Bruciata la candidatura di Monti per il prestigioso incarico, l'ex presidente della commissione Ue ritiene che le stanze del Quirinale  attendano solo lui e dunque è riapparso di fianco al segretario del Pd per testimoniare la sua esistenza in vita.  Già questo basta e avanza per dimostrare che se Bersani vincerà le elezioni succederà esattamente il contrario di quel che Romano Prodi ha preannunciato a Milano. Se oggi la sinistra si presenta compatta e pare aver lasciato da parte le antiche divisioni che l'hanno resa celebre per incapacità di governare più di un biennio, è quasi certo che passata la festa, i compagni si rivolgeranno contro se stessi per farsi la festa.  Chi invece la festa non la farà né prima né dopo sono i centristi, i quali hanno sbagliato proprio tutti i conti (mica male per una coalizione guidata da un economista). Erano convinti che il Professore li avrebbe portati se non in Europa per lo meno a Palazzo Chigi e invece più si avvicina la data di scadenza e più si rendono conto che li porterà solo alla sconfitta.  Se ne deve essere accorto colui che un tempo fu il capo della destra italiana, il quale ha un radioso futuro dietro alle spalle. Presentandosi ad un comizio ad Agrigento convinto di essere come un tempo capace di infiammare le folle, Gianfranco Fini  si è trovato invece a contare le falle, nel senso che il teatro prenotato per l'occasione aveva una platea piena di buchi.  Le poltrone erano occupate da poche decine di persone, ma non di militanti, bensì di ragazzini trascinati all'appuntamento da genitori crudeli che hanno voluto infliggere ai piccoli perfino la tortura di un comizio del presidente della Camera.  Da un pezzo la fiamma di Fini non arde più, ma il discorso alle sedie vuote del teatro di Agrigento ha spento anche l'ultimo barlume rimasto, al punto che lo stesso Gianfranco se n'è andato con il muso lungo.  Quanto al suo leader va anche peggio. Più alza i toni come gli hanno spiegato i superconsulenti prestatigli da Obama e più si abbassano i consensi, che ora, a detta degli esperti, minacciano addirittura di scendere sotto il dieci per cento, soglia minima di sopravvivenza, sotto la quale né Monti, né Fini, né Casini entrerebbero in Parlamento.   Ma a proposito di declino, anche la sparuta pattuglia che intendeva fermarlo rischia di finire su un piano inclinato.  È di ieri la notizia che ancor prima di fare l'esordio alle prossime elezioni, Oscar Giannino e i suoi hanno cominciato a litigare. In particolare, ad avere lasciato il movimento accusando il suo fondatore di essere un bugiardo è stato il professor Luigi Zingales, uno che ha un curriculum accademico alto una spanna e insieme a un altro paio di docenti faceva parte del comitato scientifico di Fare. Che cosa ha indotto il luminare a sbattere la porta? A leggere il comunicato del professore si capisce che Giannino si sarebbe vantato di aver conseguito un corso in una prestigiosa università americana, la stessa in cui insegna Zingales, ma fatte le verifiche l'economista avrebbe scoperto che si tratterebbe di una balla grossa come una casa, al punto che Oscar avrebbe corretto dicendo di essere andato negli Usa solo per imparare l'inglese. La giustificazione non ha convinto il docente, il quale presa carta e penna ha rimproverato al giornalista scarsa onestà e trasparenza, accusandolo di aver mentito sulle sue credenziali accademiche.  Insomma, prima ancora di cominciare, le nuove Camere si preannunciano uno spasso. Prodi, D'Alema e gli altri presunti vincitori che si mollano sganassoni pur di conquistare uno strapuntino. Monti ridotto a fare il centrino sotto tavola a Fini e Casini,  due che insieme non fanno un partito.  E prima ancora di Fare, Giannino e gli altri professori  si disfano. Non c'è che dire. Se questo è il prologo, dopo il 24 febbraio assisteremo ad un bello spettacolo. E pensare che danno del comico a Grillo e del capocomico a Berlusconi.    

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