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Per farsi bello Monti ci svuota il portafoglio

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Il premier: "A Bruxelles mi stimano". Con i complimenti non si mangia, abbiamo bisogno di far rispettare i nostri interessi, anche sbattendo i pugni sul tavolo

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro Finalmente Bersani ne ha detta una giusta. Non è una cosa di sinistra, ma almeno si tratta di una cosa sensata. Commentando l'intesa raggiunta sul bilancio europeo e in risposta all'entusiasmo di Mario Monti, secondo il quale l'Italia avrebbe vinto portando a casa più soldi, il segretario del Pd si è fatto sfuggire una battuta: ma se Cameron festeggia, com'è possibile che festeggi anche il nostro presidente del Consiglio? Osservazione intelligente: dato che Gran Bretagna e Italia in vista della riunione si erano dati obiettivi opposti,  la logica vuole che se uno dei due  ha vinto, l'altro abbia perso. Almeno questo è ciò che ne dedurrebbe chiunque, non solo   noi o Bersani. E però per il nostro premier i fatti non stanno così. O meglio: stanno in tal modo, ma è bene che non si sappia, in quanto, essendo il Paese sotto elezioni e Monti impegnato in una sfida per riconquistare uno strapuntino (ormai l'ipotesi di un ritorno a Palazzo Chigi è sfumata, ora l'ex rettore corre per un posto da ministro o da presidente del Senato, ma tutto dipende da quanti parlamentari riuscirà a portare in dote al centrosinistra), ammettere la sconfitta significherebbe perdere voti e farli perdere al suo partito. «Scelta civica» è dato da tutti i sondaggisti in calo e a scivolare sotto il dieci per cento, rendendo la coalizione ininfluente, ci vuole niente. Del resto, le premesse per tornare dal vertice con le pive nel sacco c'erano tutte. Anzi, diciamo che quella di venerdì è la conclusione ovvia di un fiasco annunciato. I funzionari che si erano occupati di dissodare il terreno in vista della trattativa già avevano anticipato che c'era poco da sperare. L'azione  del ministro Moavero, poi, non ha agevolato il compito. Risultato, per evitare il peggio - cioè la ricaduta sulle elezioni - c'era un solo modo di uscirne, ovvero fingere di aver vinto. Dichiarare dunque ai quattro venti che le cose erano andate nel migliore dei modi e anzi dal negoziato l'Italia ci aveva guadagnato più degli altri, portando a casa un pacco di soldi. Ma, come spiega il nostro Franco Bechis in queste stesse pagine, in patria siamo tornati con un pugno di mosche e nient'altro.  Mascherare la legnata per Monti era quindi di vitale importanza, non soltanto per questioni elettorali e di denaro (di questi tempi 3 miliardi fanno sempre comodo), ma soprattutto perché l'ammissione di un insuccesso avrebbe significato riconoscere che non c'è alcun recupero di prestigio o di rispetto dell'Italia in Europa, argomento spesso usato dal presidente del Consiglio per attribuirsi meriti e negarli a Berlusconi. Le trattative su temi spinosi come quello del bilancio dell'Europa, non vengono decise dal prestigio del premier, ma dalla capacità di negoziare e dalla tenacia di chi conduce le trattative. Quando si tratta di portafogli, infatti, non c'è reputazione che tenga. Non sono la buona accoglienza, il rispetto oppure l'onore che fanno pendere il piatto della trattativa a favore di un Paese piuttosto che di un altro, ma il suo peso, la sua capacità di impedire che altri traggano beneficio da una debolezza. Insomma, non sono gli inchini, le cerimonie e i sorrisi che consentono di tornare in patria con successo. Monti ama essere accettato come uno statista e fatto sedere al tavolo dei grandi Paesi europei, in compagnia di Cameron, Merkel e Hollande, ma essere ammesso nel salotto buono dell'Europa non significa affatto avere gli stessi diritti, le stesse convenienze, gli stessi vantaggi. Anzi, esiste il rischio che l'accettazione in società comporti, per l'ultimo arrivato, l'esigenza di dover pagare il conto per sé e per tutti gli altri.  Crediamo che a qualsiasi italiano non importi un bel nulla di  come venga accolto in Europa il nostro premier o di come prima fossero accolti Berlusconi e Prodi. Buon per loro se sono stimati e apprezzati, ma buon per noi se fanno i nostri affari e non pensano solo a guadagnarsi un futuro incarico al vertice della Ue. Il prestigio è importante, ma con quello non si mangia. Più del prestigio contano i rapporti di forza e la capacità di battere i pugni sul tavolo in difesa degli interessi nazionali. Questo è ciò che era richiesto al Professore e questo è ciò che gli è mancato. Forse Monti nel passato sarà stato un buon commissario a Bruxelles, ma non basta essere un commissario per essere un buon presidente del Consiglio. E, purtroppo, non basta neppure essere un buon rettore per diventare uno statista.  

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