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Scandalo Mps: noi paghiamo, loro comandano

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La banca vicina al Pd non ripagherà i 4 mld: verranno trasformati in azioni. E la nazionalizzazione sarà una beffa per i contribuenti: lo Stato sborsa ma non ha voce in capitolo. E i vertici resteranno al loro posto

Andrea Tempestini
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Ieri il ministro dell'Economia Vittorio Grilli ha dichiarato in Parlamento che il sistema bancario italiano non corre rischi, lasciando intendere che il commissariamento della banca del Pd non è necessario, in quanto basterà il prestito miliardario dello Stato a rimetterla in carreggiata. Probabilmente, mentre parlava, l'esangue responsabile delle finanze nazionali non sapeva che di lì a poco avrebbe fatto sentire la sua voce il procuratore della Repubblica cui è affidato il caso Montepaschi, il quale per definire la situazione di Mps non ha usato il suo stesso linguaggio felpato. Per il pm, infatti, quella della terza banca italiana è tutt'altro che una situazione tranquilla e senza violare i doveri d'ufficio, il titolare dell'indagine ha definito la situazione «incandescente ed esplosiva».  Lasciamo per un attimo perdere quali potranno essere gli sviluppi devastanti dello scandalo: anche se si parla di tangenti miliardarie e di una «banda»  che pretendeva il cinque per cento per ogni affare portato a compimento, sappiamo troppo poco degli accertamenti disposti dai magistrati per lanciarci in giudizi e anticipazioni. Certo, non è difficile immaginare che se deflagrazione ci fosse, l'ordigno esploderebbe in faccia al partito che era ed è l'azionista di riferimento della banca. Per quanti tentativi oggi il Pd compia per separare i propri destini da quelli dell'istituto senese è evidente che questi sono intimamente legati e nessuna presa di distanza potrà cancellarli. I vertici erano nominati dalle amministrazioni locali guidate dal Pd e le scelte strategiche, pur nella separazione dei poteri, erano condivise fra banchieri e politici. E a nulla vale nascondersi dietro al sindaco di Siena che ha rimosso Mussari e il direttore generale di Mps, perché tutti sanno che quella rimozione è avvenuta solo in seguito alle pressioni esercitate dalla Banca d'Italia, già preoccupata un anno fa di quanto stava accadendo. A parte le responsabilità, che verranno appurate dall'indagine, e le evidenti connessioni politiche, che saranno valutate dagli elettori, c'è però un altro aspetto che ci preme segnalare ed è proprio quello che riguarda il salvataggio della banca. Per quanto ieri il ministro dell'Economia abbia sparso parole rasserenanti, cercando di accreditare l'idea di un'operazione senza rischi e ricadute per gli italiani, noi non siamo affatto sereni. Converrà dunque riepilogare alcune questioni inerenti il prestito di 4 miliardi che i contribuenti stanno concedendo alla banca del Pd con la copertura del governo. Prima questione. Quei soldi secondo Mario Monti saranno quasi un affare per il bilancio dello Stato, perché la banca si impegna a restituirli a un tasso altissimo che va da 9 al 15 per cento. Fosse vero si tratterebbe di strozzinaggio, perché gli interessi sono di gran lunga al di sopra della media, ma in realtà così non è. Il prestito viene sì concesso ad un tasso assai elevato, ma è quasi pacifico che Mps non lo restituirà. La ragione è molto semplice. Il Monte per poter ridare indietro il denaro nei prossimi anni dovrebbe poter guadagnare moltissimo, essere cioè una banca dinamica, in forte crescita e con un'alta redditività, ma così non è. L'istituto senese è una grande banca, ma con l'aria che tira è assai difficile che possa fare centinaia e centinaia di milioni di utile. E che cosa succede se il banco non sarà in grado di onorare gli impegni e di versare ogni anno 400 milioni (questa la cifra stimata dal Sole 24 Ore)? La risposta sta nelle clausole del prestito. Se Mps non paga, le obbligazioni che lo Stato ha in mano saranno convertite in azioni della banca. In pratica il Monte dei Paschi di Siena verrebbe nazionalizzato e lo Stato ne diventerebbe. Il problema è che questa soluzione è quasi certa, perché fra gli operatori del sistema nessuno è disposto a scommettere un soldo bucato sul fatto che Mps riesca a far fronte agli impegni. Prova ne sia che ieri alcuni giornali, tra i quali Repubblica, anticipavano senza giri di parole l'ingresso dello Stato nel capitale della banca, parlando di  «nazionalizzazione di risulta», ovvero di un intervento non immediato, ma conseguente alla mancata restituzione del prestito. Ad alcuni tutto ciò potrà apparire una garanzia e cioè una specie di assicurazione che dovrebbe tutelare gli italiani, i quali in qualche modo vedranno difesi i quattro miliardi che lo Stato concede a Mps. Purtroppo così non è. Mettendo a disposizione il denaro, il governo infatti non pretende di mettere becco nella gestione della banca: dà i soldi e basta e poi attende di sapere se questi basteranno. Nel caso così non fosse, solo allora, a situazione più complessa, farebbe il gran salto di diventare azionista e dunque di controllare direttamente Mps. Tuttavia potrebbe essere tardi e soprattutto a questo punto potrebbero essere indispensabili altri soldi.  Insomma, Monti sta regalando al Monte dei pacchi una montagna di quattrini, ma in cambio non pretende niente, neanche il controllo della banca. In altri Paesi è successo che qualche istituto di credito si sia trovato sull'orlo del crac, ma prima di aprire il portafogli i governi hanno preteso l'azzeramento del management, facendo piazza pulita dei responsabili del buco. Da noi non è così. La nostra è una nazionalizzazione mascherata, ma gli azionisti rimangono gli stessi e anche gran parte dei vertici. Come dice il presidente del Consiglio, forse sarà vero che i 4 miliardi gentilmente donati a Mps  non sono gli stessi che il fisco ha meno gentilmente preteso dagli italiani con l'Imu. Ma è altrettanto vero che se quei soldi non fossero restituiti, nelle casse dello Stato mancherebbero all'appello tanti soldi, che prima o poi i contribuenti dovrebbero ripianare. Dunque, invece di ostentare sicurezza, dalle parti di Palazzo Chigi farebbero bene a preoccuparsi. Se costretti a mettere mano al portafogli per tappare i buchi della banca colabrodo del Pd, gli italiani infatti potrebbero anche incazzarsi. di Maurizio Belpietro

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