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Monti e Bersani, vuotate il sacco

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Il Pd non può negare i legami con Mps. Il premier, che ha regalato i soldi dell'Imu a una banca, non può tacere. Gli italiani hanno il diritto di sapere, soprattutto se c'è in ballo una supermazzetta

Giulio Bucchi
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di Maurizio Belpietro Allora, vediamo di ricapitolare. Che il Monte dei Paschi di Siena fosse la banca del Partito democratico è ormai appurato. Lo dimostra  il fatto che fosse il Comune di Siena - da sempre a guida sinistra -  a nominarne i vertici. Ma lo prova anche l'articolo pubblicato ieri da Libero, in cui si raccontava che dai dirigenti indicati al vertice di Rocca Salimbeni il Pd pretendeva addirittura una parte degli emolumenti incassati. Se un imprenditore desse lavoro a una persona in cambio di mezzo stipendio probabilmente finirebbe in cella e verrebbe dipinto come bieco sfruttatore della classe operaia,  siccome però lo fa un partito che nel logo si auto definisce democratico, allora la cosa è buona e giusta. Ma tornando al nostro argomento e cioè agli stretti legami fra il partito di Pier Luigi Bersani e l'istituto di credito senese, c'è un altro documento che rivela il connubio tra i vertici del Pd e quelli della terza banca italiana. Si tratta di due lettere spedite da Antonio Misiani, vale a dire il tesoriere del partito. A rivelarle è stato il Gazzettino di Venezia il quale, in un articolo di ieri, ha pubblicato i documenti in cui l'uomo della finanza rossa informa le strutture locali della decisione di far transitare ogni risorsa  dalle casse del Mps. Il Monte è infatti l'istituto di riferimento che deve essere usato dagli iscritti per far confluire denaro a Roma. Anche se ora, a scandalo scoppiato, i dirigenti del partito fanno di tutto per far dimenticare le frequentazioni con Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, i legami sono noti e non cancellabili. Tuttavia  il tema più spinoso non è quanto fossero in confidenza i vertici della banca con quelli del partito e nemmeno il fatto che i signori messi alla guida di una delle banche più importanti del Paese rispondessero più a criteri politici che  contabili. No, il vero scandalo continua a rimanere l'acquisizione di Antonveneta, istituto comprato a un prezzo iperbolico, fuori da ogni valutazione di mercato. Nel 2007 Mussari decise infatti di acquistare la banca veneta soffiandola al Santander al prezzo di 9 miliardi, contro i sette chiesti dall'istituto spagnolo. Perché pagare due miliardi in più? Non era sufficientemente astronomica la cifra per una banca con pochi capitali e ancor meno redditività? La risposta, sin dal primo giorno, era sì. Ma Rocca Salimbeni ha sempre rigettato i dubbi, sostenendo che l'acquisto fosse strategico per lo sviluppo della banca. Le perplessità ovviamente sono rimaste e anzi si sono acuite negli ultimi giorni. Ma ieri, a cancellare i restanti indugi ad approfondire le ragioni di quella operazione è stata Repubblica, ossia il quotidiano più vicino al Pd che ci sia. Il giornale, infatti, ha scritto apertamente di una tangente da due miliardi: denaro che, invece di finire nelle tasche del banco di Santander, sarebbe finito in quelle di alcuni politici. I soldi sarebbero transitati su un conto di Londra e da qui, grazie allo scudo fiscale, sarebbero rientrati in Italia. Due miliardi ovviamente sono un mucchio di quattrini: non si tratterebbe di una tangente, ma della madre di tutte le tangenti. Un mucchio di quattrini che può arricchire chi lo possiede e tutte le sue future generazioni, ma che può anche condizionare pesantemente la vita politica e democratica di questo Paese. Si dice che, se non fosse stato per uno scoop del Fatto, il cui articolo ha rivelato l'accordo segreto per mascherare i buchi nel bilancio della banca, nessuno si sarebbe mai accorto della situazione pre fallimentare di Mps. L'inchiesta della Procura sarebbe stata tenuta segreta e prima delle elezioni nessuno avrebbe saputo nulla di quel che è accaduto nei saloni ricchi di storia della terza banca italiana. Ma la faccenda è venuta a galla e ora non è possibile nasconderla né silenziarla. La politica dello struzzo e il tentativo di negare ogni coinvolgimento non salveranno il Pd e i suoi dirigenti.  Soprattutto non impediranno che sia fatta chiarezza. Urge un'operazione verità. Prima che gli italiani scelgano da chi farsi guidare è necessario che, da Bersani in giù, ognuno racconti cosa sa. Sugli stretti rapporti tra il suo partito e il Monte dei Paschi di Siena il segretario del Pd non può più tacere.  Né è accettabile che il capo del governo - cioè l'uomo che ha regalato ad una banca in rotta i soldi dell'Imu - liquidi la faccenda con poche battute,  scaricando le colpe solo sulle spalle del Pd. Dicano quel che sanno. Soprattutto ci raccontino se c'è stata una maxi tangente. Perché, se esiste una mazzetta da due miliardi, vogliamo sapere chi l'ha incassata.  

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