Al voto per cancellare lo sconcio
L'incredibile sistema senese distrugge ogni criterio di competenza o buona amministrazione. Ma Monti non può chiamarsi fuori: sapeva ed era pronto a salvare Mps. Alle elezioni si può far finalmente far finire tutto questo
di Maurizio Belpietro Peggio dei banchieri che hanno creato un buco miliardario, minacciando con il loro operato di far chiudere una banca con cinque secoli di storia, ci sono solo i politici che li hanno nominati. I quali, a scandalo scoppiato, fanno a gara nel rinnegare i suddetti banchieri. Tuttavia, come abbiamo dimostrato ieri pubblicando le fotografie che ritraggono l'ex presidente del Monte dei Paschi di Siena Giuseppe Mussari in compagnia della nomenclatura del Pd, Bersani e i suoi compagni conoscevano da vicino l'avvocato trasformato in finanziere. Essendo un loro iscritto, anzi quasi un funzionario del partito, avevano con lui e con quelli sotto di lui una frequentazione abituale e una confidenza naturale. Diciamo che erano intimi, tanto intimi da pretendere che Mussari e i principali dirigenti dell'istituto senese versassero al partito una parte del loro stipendio, come usano fare deputati e senatori del Pd. L'impegno a ripagare il partito per l'incarico ricevuto, sia che si trattasse di elezione in Parlamento che di nomina politica, risale ai tempi del Pci ed è stato spesso rivendicato dai compagni con assoluto orgoglio, quasi che si trattasse di un naturale sistema di finanziamento dell'organizzazione stessa. Tanto naturale che il Pd di Siena l'aveva addirittura inserito nel proprio statuto, pretendendo che anche chi rivestisse incarichi ai vertici di una delle principali banche nazionali non si sottraesse all'elargizione. E come ha scoperto il nostro Franco Bechis, il contributo di Mussari e di Ernesto Rabizzi - presidente di Antonveneta, la banca comprata dal Monte dei Paschi di Siena al prezzo astronomico di 9 miliardi - arrivava regolarmente tutti gli anni e regolarmente veniva iscritto a bilancio. La norma che collega i vertici della banca ai vertici del partito è l'articolo 28 che fa riferimento ai doveri di chiunque ricopra ruoli retribuiti. «Gli eletti e/o nominati presso enti pubblici e gli incaricati e designati presso altri soggetti pubblici o privati, ai sensi dell'articolo 23 comma 2 dello statuto nazionale nonché articolo 36 comma 8 dello statuto regionale hanno il dovere di contribuire al finanziamento del partito, versando alla tesoreria una quota dell'indennità e degli emolumenti derivanti dalla carica ricoperta con i criteri e nella misura di cui ai successivi articoli». Lo stringente regolamento del partito prevede che a chiunque non si assoggetti a questa regola vengano precluse candidature, designazioni o nomine. E chiunque, una volta ottenuto il posto, non si adegui alla norma di ripagare il partito, viene deferito agli organi di vigilanza interni e nel «processo» rischia l'espulsione e, peggio, nessun'altra candidatura. In base allo statuto infatti non sono candidabili per nessun tipo di elezione, neanche interna al partito, gli iscritti che non sono in regola con il regolamento finanziario e tale norma si applica anche per gli incarichi e designazioni presso altri soggetti pubblici o privati. Avete capito? Al Pd non preme che le persone designate siano capaci o competenti: basta che paghino. Non importa che siano professori o banchieri stimati, ciò che conta è che rispettino la regola di accettare il posto in cambio di una rinuncia a parte del proprio emolumento. È da questo sottobosco clientelare che emerge lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, da questo mercimonio istituzionalizzato nello statuto del partito che nasce e si sviluppa una delle peggiori malagestioni bancarie ai danni dei risparmiatori e degli azionisti. I vertici del terzo istituto di credito non venivano nominati in rispondenza a criteri di competenza e di buona amministrazione, ma chi li indicava pretendeva da loro che si adeguassero al dovere di pagare il partito. Più guadagnavano, più guadagnava il Pd. E se, pur con mosse azzardate, la banca si ingigantiva, stipendi e oboli la seguivano di pari passo. Di fronte a ciò che pubblichiamo oggi è di tutta evidenza che in questa faccenda il Pd non può chiamarsi fuori come ha fatto in questi giorni, a scandalo scoppiato. Il partito democratico c'entra, eccome se c'entra. E questa è l'unica cosa giusta detta da Mario Monti sulla spinosa faccenda. Nel tentativo di guadagnare qualche voto, il presidente del Consiglio si è infatti scagliato contro il partito di cui dopo le elezioni si candida a fare da stampella. Ma se è vero che Bersani e i suoi compagni non possono fingere di non sapere nulla, è altrettanto certo che nemmeno il premier può lavarsene le mani. Il crac non è avvenuto a sua insaputa. Come ha ammesso il ministro dell'Economia Vittorio Grilli, il governo sapeva, ma anziché muovere un dito ha aperto il portafogli, regalando alla banca 3,9 miliardi dei contribuenti. In un altro momento avremmo chiesto le immediate dimissioni dell'esecutivo e se non lo facciamo è solo perché i tecnici si sono già dimessi. L'unica nostra richiesta non è rivolta a Monti e ai professori, ma agli italiani: il 24 febbraio avete un'occasione unica di liquidare per sempre i poteri forti e i ladroni veri. Non sprecatela.