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I Pm votano prima degli altri

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Anche questa volta in campagna elettorale non si discuterà di programmi e proposte politiche, ma di indagini e processi. Quasi tutti a senso unico, contro il centrodestra

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Confesso ai lettori che da ieri pomeriggio mi sento più tranquillo. E non perché dopo settimane in cui la vittoria del centrosinistra pareva assicurata, ora, grazie alla rimonta del centrodestra, è diventata assai più incerta. No, il motivo per cui sono rinfrancato è che finalmente l'ultimo elemento che mancava per far sembrare l'attuale campagna elettorale uguale a quelle degli ultimi vent'anni è arrivato. Da due decenni gli italiani sono costretti a scegliere per chi votare tra un'inchiesta, un paio di perquisizioni e qualche avviso di garanzia ai candidati. Anche stavolta, in occasione del 24 febbraio, alcuni pm hanno deciso di non farci mancare il contorno giudiziario. Martedì sera un drappello della Guardia di Finanza ha dunque passato al setaccio gli uffici della Lega, per scoprire se anche nel latte c'è del marcio. Il sospetto è che qualcuno si sia fatto pagare per patrocinare in Parlamento le tesi degli allevatori e difendere chi aveva sforato le quote di produzione dalle sanzioni europee. L'indagine della Procura di Milano, da quel che è dato sapere, andrebbe avanti da parecchio tempo e le vicende sotto accusa risalirebbero ancor più addietro. Non entro nel merito degli atti d'accusa, che non conosco: vedremo più avanti se l'inchiesta è basata su fatti concreti o sulle sabbie mobili. Però qualche domanda mi viene spontanea. Era proprio indispensabile procedere alla perquisizione di una sede di partito a poche settimane dal voto? Non si poteva attendere che le urne fossero chiuse e i vincitori proclamati, così da evitare l'accusa di essere intervenuti con gli scarponi chiodati nella campagna elettorale? Immagino già le risposte:  la legge non guarda in faccia a nessuno, neanche ai candidati. E poi, dovendo scegliere da chi farci amministrare, è meglio sapere prima se chi è in lizza per un posto di governo o di governatore nasconde qualche peccatuccio. Ragionamento che in apparenza non fa una grinza e richiama alla memoria le parole di Francesco Saverio Borrelli, indimenticato procuratore capo a Milano ai tempi di Mani pulite, il quale prima che si facessero le liste invitò chi avesse avuto qualcosa da farsi perdonare a non candidarsi. L'avvertimento era diretto al Cavaliere e quel che è accaduto è noto: dal vertice di Napoli in poi è stata una valanga di indagini. Sono passati molti anni da allora e nonostante gli avvisi, di garanzia e non solo, Silvio Berlusconi è ancora in campo, in quanto nessuna Procura, neanche quella di Milano che lo processa per via della sua passione per le gonnelle, è riuscita ad abbatterlo. Però, nonostante dal discorso del capo del Pool di Milano siano passati quasi venti anni, poco mi sembra cambiato e per questo amaramente mi sento a mio agio. La campagna elettorale anche questa volta non si farà sui programmi per risollevare l'Italia dal pantano in cui si trova, né si discuterà delle ricette economiche di Monti, Bersani o Berlusconi. Meglio il redditometro varato dal Professore, la patrimoniale del segretario piddino o la riduzione dell'Imu promessa dal Cavaliere? No, alla fine, invece che del futuro del Paese si finirà a discutere del passato giudiziario di Berlusconi, se è o meno un magnaccia di minorenni, se ha o meno concusso una funzionaria di polizia e se Bossi e Maroni sono due tipi che hanno munto gli allevatori. Intendiamoci: si tratta di accuse serie e anche in Pakistan c'è chi mette sotto processo il primo ministro e minaccia di arrestarlo: dunque è ora che anche noi ci adeguiamo alle democrazie più avanzate del mondo, consentendo l'uso delle manette nei confronti di un ex premier e dell'ex ministro della polizia. Ma sì, arrestiamoli prima che li votino - e magari li eleggano - e facciamola finita.  Prima dell'esecuzione degli ordini di cattura, mi si consenta (sì, lo so, ho usato apposta il modo di obiettare berlusconiano) però di porre un'altra domanda. Perché i procedimenti giudiziari che riguardano il centrodestra procedono di solito come il Frecciarossa e quelli che lambiscono la parte opposta invece viaggiano alla velocità dei convogli riservati ai pendolari e dunque a ogni minima difficoltà interrompono la corsa?  Ancora noi - io e insieme a me credo molti lettori di Libero - attendiamo di sapere che fine ha fatto l'inchiesta sulla segretaria di Bersani pagata dalla Regione Emilia Romagna, quando sarà archiviata l'indagine sul sistema Sesto e sulla scellerata operazione di acquisto delle azioni Serravalle (costata un super indebitamento ai cittadini milanesi e un super guadagno agli amici dei compagni dell'Unipol), soprattutto aspettiamo di conoscere come mai le perquisizioni si fanno a rate (prima quelle nei confronti del centrodestra, poi - dopo mesi e inchiesta spifferata ai quattro venti - quelle a casa della sinistra). Quesiti che ovviamente non mettono in alcun dubbio l'imparzialità della giustizia. Come è noto la legge è uguale per tutti, ma sono gli imputati e i candidati che insistono a essere diversi. Quelli del Pdl (e ora della Lega) sono colpevoli per definizione e per presunzione e gli altri innocenti fino a prova contraria. E come è noto la prova contraria non c'è mai e se c'è non si trova. Perché nel bianco del latte si nasconde il marcio e nel rosso dei compagni è tutto candido. Anche il conto corrente.

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