Cerca
Cerca
+

Monti-Pinocchio, prima ci salassa e poi si nasconde

default_image

Solo un anno fa il bocconiano andava fiero delle tasse e del rigore. Ora che è "salito" in politica li disconosce

Andrea Tempestini
  • a
  • a
  • a

  Da quando è salito in politica, Rigor Montis non solo ha modificato il suo linguaggio, adeguandolo alle esigenze della campagna elettorale, ma ha soprattutto mutato le sue opinioni in materia fiscale. Se infatti fino a ieri andava assai fiero del suo curriculum da presidente del consiglio, esibendo le tasse  come tante medagliette appuntate sulle spalle dei contribuenti, adesso nasconde le patacche disconoscendone la paternità. E' per questo che sembra appartenere a un'era geologica precedente la conferenza stampa di fine anno, poche ore dopo le dimissioni. Alla vigilia di Natale Mario Monti rivendicava con orgoglio il rigore imposto agli italiani e a un Berlusconi che in caso di vittoria annunciava di voler ridurre l'Imu replicava dicendo che di lui non c'è da fidarsi: se uno promette di togliere l'imposta sulla casa, a chi verrà dopo toccherà applicarla con gli interessi. Al premier sono però bastate poche settimane per fare dietrofront e non solo inseguire il Cavaliere sul suo terreno, annunciando la riforma della famigerata gabella, ma addirittura l'ex rettore della Bocconi rifiuta di riconoscere come sua la patrimoniale sulla casa, lasciando intendere che si tratti di un'eredità  del precedente governo. Il che naturalmente è una balla grossa quanto l'ego del professore. Perché se è vero che il nome di imposta municipale unica lo ha dato Tremonti è altrettanto certo che la tassa avrebbe dovuto far parte del pacchetto denominato federalismo fiscale, cioè di una serie di misure che sarebbero dovute entrare in vigore con un trasferimento di poteri e soldi dal centro alla periferia, cioè dal governo alle Regioni, a saldo zero per il contribuente.   Invece, appena insediato sulla poltrona di presidente del consiglio, Monti si è appropriato dell'Imu e ne ha fatto un'arma di distruzione di massa della ricchezza delle famiglie. L'Imu è diventata il perno attorno al quale il professore ha costruito la sua manovra tutta tasse e niente tagli. In primo luogo anziché prevederne l'introduzione nel 2014 come era stato ipotizzato, il governo l'ha varata nel dicembre del 2011, decretandone l'attuazione immediata già nel 2012. In secondo, l'Imu voluta da Monti è stata applicata anche alla prima casa e non solo sulle seconde come era stato ipotizzato. Terzo punto, l'imposta è stata messa a disposizione dei comuni – cui nel frattempo si era provveduto a tagliare i trasferimenti, cioè a svuotarne le casse, costringendoli dunque a ricorrere alla nuova tassa – ma è stata usata anche dall'esecutivo per rastrellare un po' di miliardi. Come se non bastasse aver fornito agli enti locali la possibilità di adottare l'aliquota più onerosa per i contribuenti, Monti ha poi completato l'opera introducendo la rivalutazione delle rendite catastali: non solo si tassa la casa al 7,6 per mille, ma si sono modificate le impostazioni sui quali fare i calcoli, così che la tassa risulti più onerosa per il contribuente e  più generosa per le finanze montiane, che infatti ne hanno ricavato 24 miliardi. Già questo basterebbe a far capire che per quanto faccia e neghi, il professore non può in alcun modo disconoscere le proprie responsabilità in ordine alla patrimoniale messa a carico di chiunque possegga una casa, anche la più piccola e la più sofferta causa sacrifici economici. Ma se si indaga ancora un po'  sugli strumenti di cui in queste ore Monti mostra di avere vergogna, si scopre che sono misure da lui introdotte e da lui sostenute con entusiasmo. Prendete ad esempio il redditometro, di cui Libero ha più volte denunciato la diabolicità. E' vero che l'idea risale a molti governi fa e anche Tremonti ci ha messo le mani, ma a tradurla in pratica, rendendola operativa e determinandone i parametri cui si dovranno attenere i contribuenti per non risultare evasori è ancora una volta farina del sacco di Monti. E' nel 2012 – con il governo dei tecnici – che si preparano i decreti attuativi ed è il 4 gennaio 2013 che il misuratore di ricchezza entra in vigore.  Nel disperato tentativo di raccattare qualche voto ora il professore sostiene che il redditometro è una bomba ad orologeria e che lui non lo avrebbe messo? Ma chi a Palazzo Chigi potrebbe disinnescare l'ordigno? Chi ci è stato da dicembre del 2011 ad oggi? Berlusconi o lui? E cosa gli ha impedito di evitare l'attentato ai portafogli dei cittadini?  La verità è che a innescare la granata è stato un decreto del 24 dicembre 2012  e rinnegando il redditometro Pinocchio Monti dice una bugia grande come la sua ambizione, perché, come ha ricordato il Sole 24 ore, fu lui nel suo discorso di insediamento del novembre 2011 ad affermare che contro l'evasione serviva . Prova evidente che il redditometro se c'era dormiva nei cassetti del ministero e a provvedere a svegliarlo è stato proprio il professore. Altra prova che l'ex rettore non è un cuor di leone e dopo aver infilato la mano nelle tasche degli italiani prova a nasconderla? Il grande fratello bancario. Se oggi il Fisco può mettere il naso nei conti correnti, il merito è suo. Senza di lui le norme attuative per dare il via libera allo spionaggio bancario contenute nel decreto Salva Italia del 2011  non sarebbero state approvate. Comprendiamo che oggi sia difficile prendersi i meriti dello stato di polizia fiscale instaurato nel nostro paese, ma di cui nel dicembre di un anno fa Monti andava molto fiero, ma è giusto dare a Mario quel che è di Mario. In modo che gli italiani sappiano chi votare. di Maurizio Belpietro  

Dai blog