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Il quid in più del Cav: un leader ritrovato

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Berlusconi, specialista in resurrezioni: è l'unico che può impedire alla sinistra (e al suo aiutante Monti) di governare

Andrea Tempestini
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Per uno che la vulgata intellettuale descrive come un morto che cammina, giovedì sera, da Santoro, Silvio Berlusconi ha dimostrato non solo di essere vivo, ma vivissimo. Non so quanti a 76 anni vissuti senza risparmio – da tutti i punti di vista, anche quello delle donne – sarebbero riusciti a scendere in un'arena avendo tutti contro e riuscendo per tre ore a tenervi testa. Immagino che la già alta autostima dell'ex presidente del Consiglio, dopo il confronto su La7, sia cresciuta a dismisura. Se prima per far felici i nipotini si travestiva da Superman, trovandosi in quei panni perfettamente a proprio agio, non oso immaginare cosa indosserà da ora in poi. Quello dell'altra sera è stato uno spettacolo vero, un pezzo da cabaret politico, una pernacchia in diretta, davanti a quasi nove milioni di italiani, ai forcaioli che da anni lo inseguono sperando di metterlo a tacere in manette. Altro che morto, il Cavaliere è vivo e lotta insieme a noi e i suoi implacabili giudici-giornalisti sono apparsi quello che sono, ovvero incapaci di arginarlo, bravi a criticarlo e incalzarlo solo quando lui non c'è: soltanto nel momento in cui nessuno li contraddice e li smutanda. La lettura del «casellario giudiziale» di Marco Travaglio è stata un colpo di teatro, non tanto perché non si conoscessero le condanne del vicedirettore del Fatto e neppure perché esse dimostrino che un giornalista che sulle spalle ha diverse sentenze sia un «delinquente abituale», ma in quanto hanno spiegato che il collega che si crede infallibile è fallibilissimo.  Lo show ha ovviamente galvanizzato gli elettori di centrodestra, che a meno di un mese e mezzo dal voto hanno ritrovato il loro leader,  riscoprendo la voglia di imporsi e di non darla vinta alla sinistra e ai poteri deboli di Mario Monti. Per capire quale sia la ricaduta del duello tv sulle intenzioni degli italiani, naturalmente, bisognerà attendere qualche giorno, ma già ieri un esperto di sondaggi come Roberto Weber della Swg si sbilanciava a dire che la puntata di Servizio pubblico potrebbe aver fatto salire i consensi per il Pdl di almeno un paio di punti. Non so se a questo punto si possa sostenere che i giochi per il 24 febbraio si sono riaperti e la vittoria di Bersani rischi di far la fine di quella di Achille Occhetto nel 1994; di certo si può dire che da qui al giorno in cui ci si recherà ai seggi ne vedremo delle belle. E a dire il vero un po' me lo aspettavo, perché per quanto siano passati gli anni e tutti, il Cavaliere per primo, siano più stanchi e spompati, conosco Berlusconi e so che un combattente come lui non si arrende mai, neppure quando la partita pare persa o quando tutti i compagni di squadra hanno già lasciato il campo. Ricordo il 1996, i mesi immediatamente successivi alla vittoria di Prodi. Allora non avevo mai incontrato Berlusconi, ma essendo direttore del Tempo di Roma frequentavo molti dei suoi colonnelli. E tra questi non ce n'era uno che non lo ritenesse spacciato. Si riunivano la sera in alcuni dei salotti della capitale, case di pregio messe a disposizione da qualche nobile o qualche ruffiano. Onorevoli, professori e giornalisti:  tutti a dire che non c'era altra via se non arrendersi a D'Alema e alla sua Bicamerale. Parlavano e discutevano e alla mattina esortavano il Cav. a trattare la resa. Come è finita si sa: Berlusconi rovesciò il tavolo e con esso anche i sogni di gloria del leader Maximo. Così cominciò a traballare anche il tavolino di Prodi, allora presidente del Consiglio, che di lì a poco sarebbe stato spazzato via dalle ambizioni di D'Alema con la complicità di Bertinotti. La zampata del vecchio leone mi è capitato di vederla altre volte negli anni seguenti, ad esempio nel 2006, quando tutto sembrava perduto. Alla rimonta del centrodestra per le elezioni politiche non credeva nessuno se non lui e lui, in solitudine, condusse la sua campagna elettorale tra lo scetticismo di Gianfranco Fini e l'indifferenza un po' sprezzante di Pier Ferdinando Casini. Nella sfida contro la sinistra Berlusconi aveva contro anche un bel po' di industriali, i quali non avevano lesinato le critiche né gli avevano fatto mancare la propria freddezza in ordine alla sua ricandidatura. Era il 18 marzo quando, nonostante il mal di schiena che lo costringeva a letto, il Cavaliere fece il suo ingresso nella sala in cui a Vicenza Confindustria teneva un convegno. Il giorno prima c'era stato Prodi e gli imprenditori l'avevano applaudito e ogni cosa lasciava intendere che gran parte del mondo da sempre vicino al centrodestra lo avrebbe anche votato. Ma il Cavaliere ruppe il gioco, caricando a testa bassa gli industriali che stavano con la sinistra. Come andò? Berlusconi non vinse, ma mancò il successo per un soffio, raggiungendo l'obiettivo di un governo Prodi debolissimo e ricattato dall'ala più radicale della sua coalizione. Un'altra prova della sua tempra? Il 18 novembre del 2007. Allora a metterlo alle corde non fu la sinistra, ma Fini e Casini. Il presidente della Camera, parente serpente, già allora si preparava a fargli le scarpe e con una lettera al Corriere della Sera e un'intervista a Repubblica tentò di deporlo da capo del centro destra. Il Cavaliere ci pensò mezza giornata e poi si recò a Piazza San Babila, dove fece il famoso discorso del Predellino, sfidando gli alleati con il Partito unico e preparando il terreno per il suo ritorno. Ecco, non so se anche questa volta finirà così. Gli anni passano per tutti, anche per lui, ma principalmente passano per chi deve votare, che dopo quasi vent'anni ha imparato a conoscere pregi e difetti dell'uomo che guida il Pdl. Ciò nonostante, dopo averlo visto da Santoro, non posso che concludere con una sola osservazione: se c'è qualcuno in Italia che oggi può sbarrare la strada a Bersani e agli uomini come Monti che sono pronti ad aiutarlo, questo si chiama ancora Berlusconi. di Maurizio Belpietro

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