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Matteo bifronte ci prepara brutte sorprese

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Maurizio Belpietro
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Ci sono due Matteo Renzi. Il primo è quello che siamo abituati a conoscere: brillante, veloce, carico di promesse e sogni. Il secondo è quello che frequenta le cancellerie europee: lì è un po' meno brillante, un po' meno veloce, più contenuto nelle promesse e nei sogni. A quale dei due dar retta? A quello che si presenta in Parlamento e annuncia mirabolanti interventi a sostegno dell'economia e che dichiara anacronistico il parametro del 3 per cento di deficit o a quell'altro Renzi, quello che a Berlino si limita a dire lo stretto necessario e non pensa neppure a toccare il parametro del 3 per cento? Difficile rispondere. Forse il presidente del Consiglio è quella cosa lì, un Giano bifronte che a Roma dice una cosa e in Europa un'altra. Uno così berlusconiano che fa di tutto per compiacere l'interlocutore, sia che parli con l'elettore italiano, che reclama un po' di soldi in più in busta paga, sia che discuta con la cancelliera Angela Merkel, che pretende più rigore nel ridurre il debito. A seconda di chi ha davanti, Matteo ha la risposta pronta. Il gioco dei due Renzi prima o poi però è destinato a cozzare contro la realtà dei numeri e già nei giorni scorsi qualche crepa si è aperta nel muro luccicante eretto con le slide dall'ex sindaco di Firenze. Una settimana fa il premier aveva anticipato ai giornalisti le prossime decisioni del Consiglio dei ministri, promettendo aumenti in busta paga per dieci milioni di disoccupati senza alzare le tasse e senza mettere le mani in tasca ai contribuenti. Il capo del governo aveva infatti escluso qualsiasi intervento sulle pensioni, respingendo con sdegno le proposte di un contributo di solidarietà sugli assegni previdenziali più elevati. Trascorsi otto giorni, però, si riaffacciano sia le tasse che i tagli ai vitalizi, mentre si allontano le riduzioni d'imposta. Siamo infatti al 20 di marzo e a quanto consta nessuno dei provvedimenti oggetto della conferenza stampa è ancora stato tradotto in qualche cosa di concreto, ossia in un decreto legge oppure in un disegno di legge da presentare al Parlamento. A poco più di due mesi dall'applicazione dello sgravio Irpef che dovrebbe aumentare di 80 euro lo stipendio netto dei lavoratori dipendenti, non c'è ancora nulla di certo. In compenso il commissario alla spending review Carlo Cottarelli è stato costretto a rivedere le sue stime e per far quadrare i conti ha portato da tre a cinque i miliardi recuperabili nel 2014 con la revisione della spesa. E dove andrà a colpire la scure del super esperto di conti? Da quel che ha detto l'altro ieri, irritando il presidente del Consiglio, le forbici ridurranno i dipendenti pubblici (ne usciranno 85 mila), il che potrebbe anche essere un bene se diminuisse il numero di portaborse e funzionari dei ministeri. Purtroppo a quanto si capisce i tagli riguarderanno in gran parte polizia, carabinieri e altre forze dell'ordine, cioè coloro che dovrebbero garantire agli italiani maggior sicurezza. Non solo: a essere penalizzati saranno come al solito i pensionati, che ormai a quanto pare sono considerati una specie di bancomat di ogni esecutivo con l'acqua alla gola. Invece di colpire chi la pensione la incassa pur non avendo maturato i requisiti per averla (secondo i calcoli del professor Alberto Brambilla, tra i più esperti conoscitori della situazione previdenziale nazionale, il 40 per cento di chi riceve un assegno Inps non ha pagato), avanza l'idea di tagliare il vitalizio delle vedove e procede il progetto di istituire un contributo di solidarietà a carico delle pensioni più elevate. Secondo Cottarelli si tratterebbe di un prelievo una tantum di tre anni, ma è assai difficile immaginare un taglio strutturale delle tasse con un'imposta temporanea, dunque c'è il rischio che la misura diventi definitiva. La tassa (perché di questo si tratta) toccherebbe «solo» il 15 per cento dei pensionati, ciò significa che colpirebbe circa 2 milioni e mezzo di persone, molte delle quali già versano un oneroso contributo introdotto dal governo Monti che andrebbe a sommarsi a quello del governo Renzi falcidiando la pensione di una percentuale fra il 10 e il 30 per cento. Insomma, il presidente del Consiglio promette di dare 80 euro al mese a 10 milioni di italiani, ma intanto toglie un po' di soldi - probabilmente più di quelli che assicura di donare ai lavoratori dipendenti - ad altri italiani, bloccando anche l'indicizzazione delle pensioni. Almeno, questo è il piano di Cottarelli, da cui ieri Renzi è stato costretto a prendere un po' le distanze per via delle reazioni delle parti coinvolte. Tuttavia, dato che quello è il programma di revisione della spesa, appare difficile che se deve finanziare gli sgravi Irpef per la fine di maggio, il governo possa trovare altri fondi. Dunque? Dal Renzi a due facce c'è da aspettarsi qualche brutta sorpresa. PS. Oltre a non adottare i tagli alle prebende della Casta regionale, in Sicilia hanno stoppato anche la legge che avrebbe dovuto rimborsare le imprese, pagando i debiti della pubblica amministrazione. Mentre il resto del Paese tira la cinghia, a Palazzo dei Normanni si procede come al solito, cioè male. Piccola domanda al presidente del Consiglio, sperando che non rimanga inevasa come quella sulla casa di via degli Alfani di cui ci siamo occupati nei giorni scorsi: ma la Sicilia fa ancora parte dell'Italia o è un Regno a parte che l'Italia finanzia a piè di lista? Almeno questa volta si attende risposta. di Maurizio Belpietro

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