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L'Agenda Monti farà fallire Italia ed Europa

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Alcuni opinionisti di sinistra ora lo ammettono, ma nessuno ha il coraggio di dire che così va a finir male

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Distratti dai brindisi di fine anno, ho la sensazione che molti italiani si siano persi un paio di imperdibili commenti  dedicati all'Agenda Monti e a quel che sta succedendo in Italia e dintorni. Provvedo perciò a colmare la lacuna, augurandomi di rendere un servigio utile ai lettori di Libero. Il primo articolo è uscito a firma di Barbara Spinelli sulla Repubblica. La signora è una di quelle zarine di sinistra venerate dal pubblico radical chic, una che se toccasse a lei metterebbe Berlusconi e chi l'ha votato su una pira e appiccherebbe il fuoco come si faceva un tempo con eretici e stregoni. Perché allora è interessante ciò che ha scritto l'esilitata speciale in quel di Parigi? Perché dall'alto delle sue frequentazioni e parentele (è figlia di Altiero Spinelli, fondatore del Movimento federalista europeo, uno dei padri dell'attuale Ue) nei giorni di Natale ha demolito l'Agenda Monti e anche le ambizioni del presidente del Consiglio, il quale si presenta alle elezioni  come unico in grado di garantire all'Italia di essere ammessa nell'esclusivo  club europeo. Già il titolo dell'editoriale promette bene: Moderatamente europeo. Eh sì, perché il professore, nonostante le arie che si dà, è giudicato dalla Spinelli un europeista tiepido, un conservatore convinto, che bada solo al pareggio di bilancio ma poco alla costruzione della Ue. Secondo l'illustre collega (chiedo venia se in un soprassalto di presunzione oso accomunarmi all'opinionista transnazionale) nell'Agenda del premier gli unici impegni concreti sono il pareggio di bilancio e la riduzione del debito pubblico in Italia: dunque la nuda applicazione del Fiscal compact, cioè del patto di bilancio. Monti è accusato di avere una visione liberista-tecnocratica, di non capire che i mali dell'Europa non si risolvono con un ottuso  rigore. «L'Agenda è fedele al più ortodosso liberismo: tutto viene ancora una volta affidato al mercato, e l'assunto da cui si parte è che finanze sane vuol dire crescita, occupazione, Europa forte: non subito forse, ma di sicuro. Immutato, si ripete il vizio d'origine dell'Euro.  Quanto all'Italia, ci si limita a dire che il rispetto riguadagnato in Europa dipenderà dalla sua capacità   di convincere gli altri partner. Convincere di che non lo si dice».  La conclusione è che l'Agenda vola basso. Molto basso. Perché Monti è europeo, ma appunto moderatamente.  E l'Unione da lui santificata è quella che da anni idolatra l'unanimità, che in questo caso significa soprattutto genuflettersi  di fronte ai niet  di Angela Merkel, producendo accordi minimalisti. Non c'è politica nelle parole di Monti,  non c'è visione: solo numeri. Sarà per questo che la Spinelli osserva come nelle parole mai citate dal presidente del Consiglio nell'enunciazione del suo programma c'è la democrazia. Una mancanza che per chi si appresta a chiedere la delega agli italiani, impegnandosi a rappresentarne gli interessi in Parlamento e al governo è piuttosto significativa. Il presidente del Consiglio è l'interprete di un potere che rende conto ai mercati, ma non ai cittadini. C'è da stupirsi se poi questi guardano all'Europa come a un Principe distante, che non conoscono e che non capiscono? C'è da essersi sorpresi se i sondaggi  svelano che oltre il sessanta per cento degli italiani ritiene che a Bruxelles non si faccia il bene del nostro Paese, evidenziando la strisciante diffusione di un sentimento antieuropeista? Fin qui l'esiliata speciale di Repubblica, che di Europa e banche ne capisce anche per essere stata a lungo compagna di Tommaso Padoa-Schioppa, il ministro dell'Economia di Romano Prodi scomparso prematuramente e passato alla storia per aver dato dei bamboccioni ai giovani e per aver detto che pagare le tasse è bellissimo. Tra gli articoli che meritano di non essere persi ce n'è però un secondo e stavolta non è comparso sull'organo ufficiale dei progressisti italiani, ma su quello degli industriali. A firma di Guido Rossi, principe rosso del foro, avvocato di grandi famiglie e di grandi imprese purché in grado di pagargli la salata parcella, sul Sole 24 Ore si sono argomentati con altre parole gli stessi dubbi della Spinelli. Sotto il titolo Se la politica si riduce ad Agende e proclami, l'ex presidente della Consob e senatore della sinistra indipendente (Ebbene sì, nella sua lunga carriera Rossi ha fatto anche questo, oltre che il commissario della Figc) si fa beffe del programma del premier. Prima accusandolo di essere quasi impermeabile a qualsiasi principio di laicità dello Stato, poi di non rispettare i principi fondamentali di una democrazia costituzionale. «È forse finalmente tempo che chi ne ha l'autorità spieghi che lo Stato non è un'azienda, che la politica non è una branca dell'economia aziendale, che la meritocrazia, i cui criteri sono sempre più discutibili, porta all'oligarchia di élite, che promuovono gigantesche ineguaglianze e difettano per loro natura di cultura democratica». Secondo Rossi non è quindi un caso che nell'Agenda Monti il benessere dei cittadini e l'economia sociale di mercato («finora soffocati dalla politica dell'austerità e del rigore, tanto impietosa quanto discutibile») non siano previsti provvedimenti a tutela dei fondamentali diritti  nei quali si realizza una democrazia. Conclusione del super avvocato, l'Unione europea si presenta oggi come una struttura tecnocratico-amministrativa, che non ha ancora come fondamento né un popolo né una nazione degli europei. E se non cambia strada rischia di dissolversi come capitò al Sacro romano impero. «Lo stesso Parlamento  europeo non può rappresentare ciò che non è e ciò che ancora non esiste: né il popolo europeo, né una sfera pubblica  politica europea, che decida al di là dei confini nazionali le questioni decisive per la sua sopravvivenza».  Vi domandate perché oggi ho deciso di usare il mio editoriale per una sorta di rassegna stampa? Non certo perché a corto di idee o perché non ho ancora smaltito i fumi e le pigrizie di Capodanno. La ragione è duplice. Innanzi tutto in quanto i due articoli segnalano come nelle élite dalle cui fila proviene Monti  comincino a serpeggiare dubbi sulla direzione intrapresa dal presidente del Consiglio. Non solo colleghi di università come Giavazzi, Alesina e Ricolfi si chiedono se le misure del governo ci tireranno fuori dai guai oppure li accresceranno, ma anche quel mondo chic che lo adorava come reazione a Berlusconi ora si interroga. Secondo, gli articoli di Spinelli e Rossi fanno capire che Monti non è l'Europa e si può essere europeisti anche se non la si pensa come lui e si ritiene che la Merkel sbagli, che l'Euro non sia la miglior moneta possibile, che la Ue durante la crisi abbia commesso molti errori e continui a commetterne. In poche parole, la politica dei tecnocrati e della Cancelliera di ferro non è detto che salvi l'Europa né che contribuisca a tenere uniti i Paesi che ne fanno parte, anzi, potrebbe perfino ottenere l'effetto contrario, ovvero una sua disgregazione.  Spinelli e Rossi dicono, certamente con parole più raffinate date le loro origini, soprattutto politiche, ciò che una parte del centrodestra e il suo leader dicono da tempo. Perché però nessuno muove la penna per dire che sono irresponsabili, come invece capita se ad aprir bocca è Berlusconi? Oh, certo, conosco già la risposta: Spinelli e Rossi non si candidano a guidare il governo. Vero: ma contribuiscono e non poco a formare le opinioni. E allora non sarebbe il caso di discutere di queste opinioni con serenità, senza badare a chi le sostiene ma alla loro sostanza? Non è forse il momento di interrogarci su una questione semplice: Monti ci porta in Europa o dà una mano a farla fallire? È il Messia di Bruxelles o liquidatore giudiziale dell'Italia? La mia risposta non la anticipo ma la potete immaginare.    

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