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Se Albertini non si ritira, consegna il Paese alla sinistra

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Lombardia, l'ex primo cittadino biforca e indebolisce il centrodestra: non c'è speranza di tenersi il Pirellone. Caduta la Regione, anche il resto dell'Italia finirà a Bersani. Deve fare un passo indietro

Andrea Tempestini
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Fino a ieri c'erano due condizioni in grado di favorire la vittoria della sinistra alle prossime elezioni. La prima consisteva nella discesa in campo, con una propria lista, del presidente del consiglio Mario Monti. Invece di assicurare il successo dei moderati ai quali dice di ispirarsi, il premier divenendo il capo di una coalizione centrista avrebbe facilitato la dispersione dei voti, regalando a Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini e a movimenti pieni di ambizione ma scarsi di consensi qualche punto. C'è chi dice che con l'ex rettore alla testa della coalizione il centro avrebbe guadagnato il 6 per cento in più: cifra rispettabile, che avrebbe consentito al gruppo di avvicinarsi al 15 per cento, ma che non avrebbe impedito a Bersani e Vendola di vincere a mani basse. Anzi, spaccando il fronte del centrodestra, quei voti  avrebbero agevolato i progressisti, aiutandoli nella conquista di una solida maggioranza di sinistra anche al Senato.  Per fortuna, al momento in cui scriviamo, il pericolo di una discesa in campo di Mario Monti sembra scongiurato. Nonostante le sollecitazioni della Merkel e dei partner europei e sebbene il premier sia stato tirato per la giacchetta da Casini e da orfani della Democrazia cristiana tipo Beppe Pisanu, alla fine l'ex rettore pare intenzionato a restare fuori dai giochi, tenendosi le mani libere in caso che nel futuro prossimo ci sia bisogno nuovamente di lui, a Palazzo Chigi o al Quirinale.  Eliminata una delle condizioni che potrebbe avvantaggiare la sinistra, ne resta però una seconda. In questo caso non c'entrano Mario Monti e le sue ambizioni politiche, ma quelle di un altro uomo un po' meno in vista, il quale però potrebbe fare seri danni a tutto il centrodestra pur essendone uno degli  esponenti di spicco. Il suo nome è Gabriele Albertini e in Lombardia è piuttosto noto. Alle spalle ha una carriera da piccolo industriale e da presidente di Federmeccanica, la Confindustria degli imprenditori metalmeccanici. Voluto da Cesare Romiti, all'epoca ancora potente amministratore delegato della Fiat, Albertini nel ruolo di sindacalista dei padroni delle ferriere aveva la fama di essere un falco e per questo Silvio Berlusconi lo pescò per candidarlo sindaco di Milano. Albertini vinse e per dieci anni regnò su Palazzo Marino.  Con il senno di poi si può dire che sia stato un buon sindaco. Pignolo, testardo come un mulo, ma in fondo amato da gran parte dei milanesi, i quali infatti lo confermarono per un secondo mandato. Dopo aver fatto il primo cittadino, Albertini ha trascorso il suo tempo a Bruxelles, come europarlamentare, ma il suo sogno è sempre stato quello di tornare a Milano. All'inizio credo che avesse sperato in un passo indietro di Letizia Moratti, la sindaca meno gradita della storia, per riprendere il suo posto in comune. Per qualche settimana si fece anche tentare dalle lusinghe di Gianfranco Fini, il quale avrebbe voluto Albertini capolista di Fli per continuare la sua guerra a Berlusconi, ma il corteggiamento non andò a buon fine.  La voglia gli è però tornata qualche settimana fa, quando Roberto Formigoni è stato costretto al passo indietro. A quel punto l'ex sindaco ha iniziato a pensare che, data la momentanea indisponibilità di Palazzo Marino, il suo posto fosse il Pirellone. Desiderio legittimo e posso dire che, se fosse eletto governatore, Albertini  non deluderebbe. Il problema è che purtroppo il suo nome divide il centrodestra. Con lui capolista, la Lega non si alleerebbe mai con il Pdl, anche perché quand'era primo cittadino non è che con il Carroccio fossero rose e fiori. Da separati, i due partiti che compongono il centrodestra sono però destinati alla sconfitta. Perderebbero i seguaci di Alberto da Giussano, anche se a guidarli fosse il loro segretario Roberto Maroni. Altrettanto succederebbe al Pdl, nonostante il buon nome di Albertini. A dividere le forze si otterrebbe soltanto di consegnare la Regione alla sinistra e al suo candidato Umberto Ambrosoli. Il che sarebbe grave, ma non il peggio. La vittoria dell'uomo di Bersani e Vendola in Lombardia provocherebbe infatti uno spiacevole effetto collaterale, che non riguarda solo i lombardi, ma l'intero Paese.  Se esiste un modo di evitare che a Palazzo Chigi si installino i leader del Pd e di Sinistra ecologia e libertà, con quel che ne consegue, questo passa dal successo del centrodestra in almeno due regioni chiave: la Lombardia e il Veneto. Entrambe sono da sempre moderate e nel caso gli elettori confermassero la tendenza impedirebbero ai compagni di avere la maggioranza al Senato anche qualora Bersani e c. la raggiungessero alla Camera. Vincere a Milano è dunque indispensabile per condizionare gli equilibri nazionali e questo non può sfuggire a una persona come Gabriele Albertini, sul quale si possono dire molte cose, ma non che sia di sinistra. L'ex sindaco deve capire che con lui in campo non è possibile una riunificazione del centrodestra. Con lui candidato non solo perderebbero il Pdl e la Lombardia: perderebbe il Paese. È per questo che ci appelliamo direttamente a lui, che stimiamo e apprezziamo. Per il bene nostro, di cittadini, è auspicabile un suo passo indietro. Attendiamo cortesemente risposta. di Maurizio Belpietro

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