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La Costituzione più inefficiente del mondo

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La retorica dolciastra con cui Benigni ha recitato la Carta ne ha nascosto l'arretratezza e i difetti evidenti, primo fra tutti l'impotenza a cui condanna chi deve governare

Nicoletta Orlandi Posti
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di Maurizio Belpietro Chiediamo scusa ai lettori se torniamo ad occuparci della comparsata milionaria di Roberto Benigni sulla rete televisiva pubblica, ma vorremmo aggiungere qualcosa a quanto ha già scritto il nostro bravo Francesco Borgonovo. Innanzitutto fa ridere che il commento alla Costituzione lo si affidi a un comico, segno evidente che in questo Paese le cose serie si riducono a barzelletta. Tuttavia se l'attore che prendeva in braccio Berlinguer e baciava Pippo Baudo l'altra sera ci ha strappato qualche sorriso, i commenti dei giornalisti comparsi il giorno dopo sulla stampa nazionale ci hanno solo fatto versare lacrime di compassione. Dai colleghi al massimo sono arrivati pizzicotti per le battute riciclate su Berlusconi, ma neppure uno si è preso la briga di smontare la retorica di cui Robertaccio ha ammantato la Costituzione.  Un fiume di melassa ha avvolto gli spettatori seduti davanti alla tv e nessuno ha cercato di arginarlo, né subito né il giorno seguente.  Così sono passati indisturbati alcuni concetti, come ad esempio che la nostra Costituzione sia la migliore del mondo.  Non vogliamo qui riportare le critiche che Silvio Berlusconi va da tempo facendo alla carta su cui si fonda la Repubblica, perché potrebbero parere strumentali alla sua sesta discesa in campo. No, preferiamo citare frasi di un personaggio fuori dalla mischia di questi giorni e per nulla tifoso del Cavaliere. «Dalla televisione siamo abituati a sentirne di tutti i colori.  Ma una delle più grosse è stata quella di un tizio che, celebrando (...) la Costituzione, la definì un testo  che  “migliora con il tempo”. Di tempo, al contrario, n'è occorso ben poco perché essa mostrasse le rughe e le crepe di una vecchiaia precoce. Lasciamo perdere la ricerca delle cause, che ci porterebbe troppo lontano. Ma il giudizio degli esperti  ormai è quasi unanime e corrisponde a quello della pubblica opinione: l'inefficienza  dell'attuale regime e il collasso a cui ha condotto lo Stato non è colpa soltanto della Costituzione, ma è colpa anche della Costituzione, fra i cui difetti il più grave è quello di essersi ammantata di una intoccabilità talmudica che ne rende praticamente impossibili le revisioni». Parole assai diverse da quelle di Benigni, pronunciate da uno che qualche titolo per denunciare i vizi del nostro sistema parlamentare lo aveva. Indro Montanelli non era un eversore né uno che avesse nostalgia della dittatura. E però al direttore del Giornale nel 1974 non sfuggiva che proprio dalla Costituzione si doveva partire se si volevano migliorare le cose. Fingere che la Carta costitutiva fosse perfetta, che fosse la migliore del mondo e che non ci fosse ragione alcuna per riscriverne alcune parti e portarla al passo con i tempi, era da lui considerato un errore. La più grossa delle magagne cui porre rimedio, scriveva l'uomo che per anni rappresentò il pensiero liberale in Italia, è l'impotenza a cui condanna il governo. Tutti si lamentano di chi sta a Palazzo Chigi e lo accusano di non aver mantenuto le promesse. Ma sia che si tratti di Monti, Berlusconi, Prodi o D'Alema, nessuno sa che il capo del governo conta meno di un sindaco. Il quale, se vuole, può mettere alla porta un assessore riottoso o semplicemente incapace, oppure, nel caso che il consiglio comunale non lo lasci lavorare e portare a termine il programma, può dimettersi e richiedere che gli elettori si pronuncino. Il presidente del Consiglio invece non ha questo potere. Se un ministro non fa ciò gli viene richiesto, il premier si deve rassegnare a tenerselo e se deputati e senatori stravolgono le sue leggi, nessuno garantisce il primo ministro che dimettendosi  indurrà anche gli onorevoli a mollare la poltrona. Così tutti i trasformismi e tutte le guerre interne alla maggioranza e all'opposizione sono possibili. In tal modo ogni interesse di corrente può frapporsi all'interesse generale.  Chiunque sa che per guidare un'auto ci vuole che qualcuno tenga ben saldo il volante, ma quello che vale per una vettura non vale per il Paese, dove si pretende che tutti possano manovrare a loro piacimento.  Secondo Montanelli era indispensabile rafforzare i poteri del capo del governo, del quale la Costituzione dice poco o nulla, per evitare di trasformarlo in una specie di mediatore senza poteri fra le forze che compongono la maggioranza. Per il vecchio Indro era urgente anche dare al governo la possibilità di agire per decreto o per delega, consentendo all'esecutivo di legiferare sulle materie ritenute urgenti, così da sottrarle al Parlamento, dal quale non solo i provvedimenti  escono dopo anni, ma spesso anche snaturati.  Una Costituzione che impedisce al governo di governare e consente di stravolgere ciò che l'esecutivo ha deciso può dunque essere considerata la migliore del mondo? Ovviamente no. Forse lo era quando fu fatta. Ma chi la fece era di un'altra epoca. E soprattutto aveva una paura: ossia che tornasse la dittatura. I comunisti, preoccupati dei legami tra De Gasperi e l'America,  si diedero da fare per impedire ai democristiani di esercitare il potere in caso di vittoria.  E i democristiani, spaventati all'idea che i cavalli dei cosacchi si abbeverassero a San Pietro, fecero altrettanto per impedire a Togliatti di guidare il Paese qualora avesse vinto. Insomma, la sinistra legò le mani alla destra e viceversa.  Quello che scaturì, non fu la Costituzione migliore del mondo, ma probabilmente la più inefficiente, che fin dalla prima riga recita una falsità, sostenendo che la Repubblica è fondata sul lavoro. Ma il lavoro non è un bene di cui uno Stato, a meno che non sia socialista, può disporre.  Nell'Unione sovietica il lavoro era garantito a tutti e sappiamo come.  In una Repubblica democratica, in cui esiste il libero mercato e le aziende non sono controllate dal governo, il lavoro è invece determinato dall'incontro tra domanda e offerta. Se l'economia va bene, c'è posto e stipendio per tutti. Se va male, c'è la disoccupazione. La legge che regola il mercato del lavoro è chiara a tutti, ma non alla Costituzione, che a oltre sessant'anni dalla sua scrittura continua a recitare la menzogna di una Repubblica fondata sul lavoro.   Si può continuare, ora, in piena crisi, ad accettare una bugia fingendo che sia colpa di chi non ha attuato i princìpi della Costituzione? O facendo credere che questi princìpi si possano attuare oggi? Sarà anche bella la nostra Costituzione e per qualcuno la migliore del mondo, ma almeno le barzellette bisognerebbe risparmiarcele. 

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