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Ridateci il malloppo: tagliate l'Irpef

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La Polverini, che non ha preso un euro, si è dimessa per le ruberie altrui. Il problema è l'uso distorto dei soldi pubblici: è ora di toglierli alla politica e usarli per alleggerire il peso delle addizionali

Lucia Esposito
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di Maurizio Belpietro Renata Polverini alla fine si è dimessa. Era diventata la madre di tutte le porcate.  Più di Fiorito, più di Battistoni, più di tutti i politici che se la sono spassata con i soldi degli italiani. Era lei il simbolo da abbattere. L'odiata immagine della Casta che sperpera il denaro dei contribuenti. Pur non essendo accusata di essersi appropriata  di un solo euro che non le spettasse, la presidente del Lazio è colpevole di essersi  fatta fotografare ad una festa in maschera, lei rigorosamente vestita senza maschera, rea di non aver vigilato sull'operato di chi con gli euro pubblici ci ha giocato. Un errore da pagare con l'addio. Le dimissioni della governatora sono diventate infatti un passaggio obbligato per chi intenda presentarsi con le mani pulite.  Consegnare la sua testa significa infatti accreditarsi come mozz'orecchi  della rivoluzione, unici veri amici del cambiamento. È per questa ragione che i consiglieri del Pd e dell'Idv si sono dimessi in blocco. O meglio: hanno annunciato l'intenzione di farlo. Sperano in tal modo di addossare alla signora ogni responsabilità. In realtà, le colpe andrebbero adeguatamente ripartite. Perché se è vero che Fiorito e altri hanno rubato, è altrettanto vero che gli esponenti dell'opposizione hanno mangiato. Magari non avranno pasteggiato a ostriche e champagne, come l'ex capogruppo del Pdl. E nemmeno avranno arraffato denaro per comprarsi le case.  Ma di certo hanno partecipato alla riffa dei soldi pubblici come tutti i gruppi. I 14 milioni distribuiti a pioggia dalla Regione a ciascun consigliere non andavano solo a esponenti del Popolo della Libertà, ma anche a quelli del Partito democratico e dell'Italia dei valori. I quali si sono guardati bene dal rifiutarli. Anziché restituire gli oltre centomila euro a testa anche gli aspiranti mozz'orecchi del partito della grande moralizzazione se li sono intascati. Così come hanno fatto i loro colleghi degli altri consigli regionali.  Già, perché la vendemmia di fondi dei contribuenti non riguarda solo il Lazio. Dalle parti della Capitale forse la ruberia è stata fatta con una certa dose di cafonaggine e arroganza, ma non esiste Regione dove i gruppi politici non si siano dati da fare per saccheggiare la cassa. Secondo uno studio del Sole 24 Ore, i partiti presenti nei parlamentini di 19 Regioni, cui si sommano quelli delle due Province autonome di Trento e Bolzano, si spartiscono ogni anno un bottino di poco inferiore ai 100 milioni. Novantasei per l'esattezza, dove la parte del leone la fanno il Lazio (circa 14 milioni), la Sicilia (13,7 milioni), la Lombardia (12,2), il Veneto (92) e così via. In rapporto agli abitanti, i gruppi che incassano di più sono quelli del Molise (2 milioni), del Trentino (2,4), della Val d'Aosta (584 mila euro), della Liguria (5,7 milioni) e della Sardegna (5,1).  Le cifre, che trovate nel dettaglio e riferite a ogni Regione a pagina 2, dimostrano una sola cosa: che la spartizione non è  prerogativa del Pdl o del solo Lazio, ma che dalle Alpi fino a Palermo la mangiatoia politica  lavora a tempo pieno. Milioni su milioni che si volatilizzano con la scusa dell'attività politica. Denaro dei contribuenti che sparisce risucchiato da una macchina autoreferenziale, che non ha più nemmeno il pudore di giustificarsi, di dare l'apparenza di essere necessaria. Soldi distribuiti a pioggia, lottizzati con il sistema del manuale Cencelli: in base alla percentuale ottenuta alle elezioni, ogni partito e ogni esponente del movimento ricevono la loro fetta di torta. In questo modo le Regioni -  sinonimo di autonomia, dell'ente vicino ai cittadini e dunque facilmente controllabile dagli stessi elettori - invece di diventare simbolo di efficienza e di buona amministrazione, si sono trasformate nel tempio dello spreco, nel monumento alle ruberie. Pensare dunque, anche solo per un istante, che il problema si risolva ottenendo la pelle della Polverini significa voler prendere per i fondelli gli italiani. Ora che la governatora ha fatto le valigie non è cambiato nulla. Anzi, c'è la ragionevole certezza che con le sue dimissioni il sistema resterà in vigore e i partiti continueranno fino alle prossime elezioni a mantenere il regime attuale, ovvero a incassare 14 milioni. La questione non sta quindi nell'addio rapido di chi ha guidato il Lazio, ma in un fulmineo cambiamento della norma che regala ai gruppi consiliari 14 milioni. Se vogliono davvero la grande moralizzazione, Pd e Idv chiedano di cambiare immediatamente la legge di cui ad oggi  usufruiscono. Mettano ai voti l'abolizione del finanziamento pubblico. E lo stesso facciano in tutte le altre Regioni, P rovince autonome comprese. Se non scherzano, se non hanno nulla da nascondere o da incassare, cancellino la vergogna del furto legalizzato rinunciando al bottino. Secondo i calcoli del Sole 24 Ore oltre ai cento milioni incassati dai partiti, nel complesso il funzionamento delle giunte e dei consigli regionali costa all'anno 830 milioni di euro, quasi una piccola manovra. Con quei soldi le Regioni potrebbero rinunciare a gran parte delle loro addizionali. Invece di battere cassa tassando i contribuenti, le imposte comincino ad abbassarle. Sprecando e rubando di meno, vedrete, riusciranno a far quadrare i conti.    

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