Il Mario giusto è Draghi:Monti adesso è inutile
Nella guerra dello spread ha fatto di più il numero uno della Bce in un giorno che il premier in dieci mesi: per questo era meglio che ci fosse lui a Palazzo Chigi
Rispondendo alle obiezioni di chi non condivideva le mie critiche a Mario Monti e mi domandava con chi avessi in mente di sostituirlo nel caso il bocconiano si facesse da parte, più di una volta ho fatto il nome di Mario Draghi. Il governatore della Banca centrale europea mi pareva infatti l'uomo più adatto per tener testa ai mercati, ma anche il più esperto nel tagliarla a certi alti papaveri pubblici, essendo stato per anni il direttore generale del ministero del Tesoro. E da ieri, l'idea di sostituire il Mario che sta a Palazzo Chigi con il Mario che sta a Francoforte mi convince ancora di più e credo dovrebbero convincersi anche quelli che ancora nutrono dubbi. Il piano di acquisto illimitato di titoli di stato deciso ieri dalla Bce non solo ha fatto scendere a quota 376 lo spread tra i bund tedeschi e Bot italiani, ma ha anche fatto salire tutte le borse del vecchio continente. Madrid ha sfiorato il 5 % in un sol giorno, Milano ha chiuso al 4,3, Parigi si è accontentata del 3, ma anche la teutonica Francoforte ha raggiunto il 2,9. Cifre ed entusiasmi che non si vedevano da un pezzo. Segno evidente che la cura Draghi è piaciuta ai mercati, i quali hanno subito festeggiato le decisioni. È vero, si tratta di un solo giorno, ma è il segnale che conta. E quello che risulta evidente dopo la giornata di ieri è che nella lotta allo spread ha fatto più il governatore della Bce che il governo della Bocconi. Draghi ha saputo reagire alle pressioni dei crucchi, senza farsi intimidire dai discorsi della Cancelliera di ferro. A differenza dell'altro Mario, di fronte alle lezioncine economiche di Angela Merkel non si è messo dietro alla lavagna a fare i compiti, ma ha tirato diritto per la sua strada. Di più: nonostante l'opposizione della Germania, il presidente della Banca centrale europea è riuscito a tirare dalla sua parte tutti i componenti del consiglio di amministrazione dell'istituto. Francesi, olandesi e spagnoli hanno votato compatti con lui il via libera al piano: l'assenso è arrivato perfino da uno degli esponenti tedeschi presenti nel board, cosicché il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, si è ritrovato solo nella battaglia contro l'intervento in favore degli Stati in difficoltà. Le minacce di Berlino per impedire che la Bce acquistasse illimitatamente titoli di stato hanno insomma fatto un baffo a Draghi. E ciò dimostra di che tempra è fatto l'uomo che vorremmo al posto di Monti, il quale ieri ha detto ai mercati che se vogliono insistere a speculare contro l'Italia possono farlo, ma troveranno pane per i loro denti. «L'euro è una scelta irreversibile» ha detto in conferenza stampa e chi vi scommette contro rischia solo di rompersi le corna. Tuttavia la giornata di ieri non è stata caratterizzata solo dalle decisioni di Draghi e dalle reazioni al piano anti-spread. A rovinare la festa è arrivata una delle solite statistiche internazionali. Dopo quella che ci mette al 42° posto nella classifica della competitività, ecco spuntare quella redatta dall'Ocse, organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico che per il nostro futuro vede nero come la pece. Il Pil, cioè l'indicatore che meglio di ogni altro segnala lo stato di salute di un paese, secondo gli esperti l'anno prossimo invece di salire calerà ancora. Dal 2,5 per cento in meno di quest'anno si passerebbe a un altro 1,5 di fatturato che se ne va. Nonostante il presidente del consiglio si affanni a sostenere che il peggio è alle spalle, per l'Ocse ci aspetta un anno peggiore dell'attuale, perché non solo non recupereremo ciò che abbiamo perso nel 2012, ma riusciremo a perdere anche qualcos'altro. L'economia italiana va insomma sempre più giù e la luce in fondo al tunnel di cui parlava pochi giorni fa Monti ancora non si vede e se si vede, come qualcuno ha detto, è quella di un treno che rischia di investirci. In particolare, come abbiamo spiegato ieri, non si intravvedono neppure le misure che da circa un anno il premier ci promette ogni qual volta apre bocca, perché, se si escludono le tasse, da Palazzo Chigi non è arrivato altro, se non tanti annunci, molti dei quali rimasti tali. Per questa ragione riformuliamo una domanda fatta tempo fa: non è che quando si è trattato di istituire un governo tecnico Giorgio Napolitano ha scelto il Mario sbagliato? A noi l'uomo in grigio, alla Bce l'uomo che il grigio, anzi l'umore nero, lo fa venire alla Merkel? Agli estimatori di Monti la risposta. di Maurizio Belpietro