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Napolitano nei guai per colpa sua: vuole salvarsi? Parli

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Quando sui giornali finivano le chiamate di Berlusconi è stato zitto. Ora che tocca a lui non può indignarsi. A questo punto gli conviene rivelare il contenuto delle telefonate con Mancino

Andrea Tempestini
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  Come il lettore sa, Libero è sempre stato del parere che le conversazioni delle alte cariche dello Stato, comprendendo tra queste non solo il presidente della Repubblica e quello del Consiglio ma anche i ministri che compongono il governo, dovessero godere dell'assoluta inviolabilità. E non per garantire l'impunità a lor signori, ma semplicemente perché, occupando alti incarichi, trafficano materie riservate, prendendo decisioni nell'interesse generale dell'Italia che spesso non hanno bisogno di pubblicità. In nessun altro Paese un capo di Stato mentre parla al telefono viene intercettato legalmente da una Procura. E che ci sia noto, nessun organo di stampa pubblica impunemente le chiacchiere via cornetta del capo di governo con un suo interlocutore. A memoria non ci pare sia accaduto ad Obama, ma neppure ai suoi predecessori, Bush e Clinton, nonostante quest'ultimo fosse finito al centro di più di un'indagine giudiziaria. Stessa sorte è toccata a Sarkozy e Chirac, entrambi nei guai con la magistratura. Si dirà: forse non frequentavano bricconi sottoposti ad indagine e dunque messi sotto ascolto dalla magistratura come spesso accade in Italia. Non è così. A Tony Blair capitò di avere per amici o finanziatori anche personaggi discussi, ma a quanto ci risulta non una sua parola è finita in un fascicolo giudiziario e men che meno sulla prima pagina di un quotidiano. La premessa è d'obbligo per sgomberare il campo da qualsiasi speculazione. Per anni abbiamo sostenuto che le intercettazioni sono utili per scovare i criminali ma non possono essere usate nella battaglia politica. Soprattutto non devono essere impiegate contro le alte cariche dello Stato. Le quali, se indagate, devono rispondere delle accuse contro di loro, ma, nell'interesse del Paese e della sua immagine internazionale, a tempo debito, quando cioè non ricoprano più l'incarico, così come avviene in Francia o in Spagna. Il nostro parere a questo proposito non è cambiato,  semmai, si è rafforzato. Ciò detto, non possiamo però fare a meno di notare che, dopo anni in cui si è sostenuta la necessità di non intralciare il lavoro dei pm anche, o forse soprattutto, quando questi si occupano di politica, ora non si può dire alt, fermatevi, perché rischiate di colpire  il Quirinale. Se fino a ieri si è detto e scritto che tutti sono uguali davanti alla legge, presidenti del Consiglio, ministri, numeri uno dei servizi segreti, non c'è ragione oggi di sostenere che il capo dello Stato debba godere di un trattamento di privilegio. Quello che sta accadendo è il prodotto di una battaglia politica condotta senza esclusione di colpi. Per far fuori Berlusconi e i suoi uomini si è sostenuto che le conversazioni private del capo del governo non devono godere di alcun trattamento speciale. Oggi lo stesso trattamento è riservato a Napolitano. E più i suoi difensori (Scalfari, Ainis, Onida...) si affannano a sostenere la diversità del presidente della Repubblica davanti alla legge, più risulta chiara la disparità di trattamento, una disparità che non trova riscontro nella Costituzione. Se un deputato o un senatore possono essere intercettati indirettamente, cioè mentre parlano con un indagato; se un deputato o un senatore possono con questo escamotage finire al centro di un'inchiesta giudiziaria e i loro colloqui possono essere prodotti in giudizio; se questo principio, sancito dalla Corte costituzionale, è valido anche per il presidente del Consiglio e i suoi colleghi di governo, nonostante le guarentigie concesse a chi siede in Parlamento, beh non c'è motivo alcuno di concedere al presidente della Repubblica un trattamento diverso. Se tutti possono essere intercettati, indipendentemente dalle faccende delicatissime di cui si occupano, il capo dello Stato non può godere di eccezioni. Ecco perché ci dispiace dissentire da un amico e maestro come Giampaolo Pansa, il quale vorrebbe tenere al riparo dalle grane l'uomo del Colle. Purtroppo nei pasticci l'inquilino del Quirinale ci si è messo quando ha chiuso un occhio, anzi due, sulla violazione di qualsiasi riservatezza nei confronti del presidente del Consiglio e dei suoi ministri. Napolitano ha lasciato che le intercettazioni di Berlusconi e di altri ministri finissero sui giornali anche quando erano di nessun interesse, neanche giudiziario, dunque adesso che tocca a lui non può dire «Non ci sto». Dall'alto della sua posizione egli avrebbe dovuto intervenire, facendo sentire la propria voce, con un messaggio al Parlamento o al Csm, ma per quieto vivere o per antipatia nei confronti del Cavaliere ha preferito tacere.  Ora è lui nel mirino e non serve invocare l'aiuto e la solidarietà delle forze politiche, perché l'intrigo attorno alle conversazioni che riguardano l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia non si acquieterà fino a che le frasi di quelle telefonate intercettate dai pm di Palermo non saranno integralmente rese note. Nonostante quanto si dica, il capo dello Stato non ha altra via se non quella di sciogliere il mistero. Egli sa che cosa ha detto all'ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino. Sa se al telefono ha insultato i pm di Palermo, l'allora premier e il leader dell'Italia dei valori, oppure se ha parlato d'altro. Dunque, se non vuole rimanere vittima delle sabbie mobiliti del sospetto e della maldicenza, deve parlare.  Diversamente, le prossime settimane e i mesi a venire saranno segnati dai veleni di questa faccenda. Napolitano è vittima dei tentennamenti nei confronti delle vicende che riguardarono Berlusconi, ma ora rischia di essere ancor più pesantemente vittima dei tentennamenti che riguardano lui stesso. Lo abbiamo già scritto: tiri fuori i contenuti delle telefonate e sarà meglio per tutti. Soprattutto se il capo dello Stato è intenzionato a restare in sella con piene funzioni fino all'ultimo giorno del suo incarico. In tal caso, votando a marzo, toccherà a lui designare il nuovo capo del governo e non vorremmo che a qualcuno facesse comodo un presidente della Repubblica un po' sotto tono, se non dimezzato. Come si vede, se il ricatto c'è, l'unico che lo può sventare è lo stesso presidente. di Maurizio Belpietro  

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