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Maglie: i magistrati all'assalto di Monti

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Il premier ne fa una giusta e parla di "abusi" sulle intercettazioni di Palermo. E l'Anm si scatena

Giulio Bucchi
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di Maria Giovanna Maglie Ahi ahi, professor Monti, stavolta ha pestato qualcosa di vischioso e ingombrante, e se non è affatto detto che le sue dichiarazioni sul caso delle intercettazioni al presidente della Repubblica, da lei giustamente definite abusi a cui apporre con apposita legge rimedio, non facciano la stessa fine di tante altre enunciazioni sue e del suo governo, divenute  promesse mancate, è però già vero che la categoria che lei ha almeno a parole attaccato si è già rivoltata di brutto, e scrive editoriali bellicosi, minaccia neanche tanto velatamente, raccoglie firme, rilascia interviste e dichiarazioni pesanti. Altro che Guatemala, che poi è solo un'anticamera di sicura candidatura politica nel futuro prossimo venturo, altro che Il Fatto  che si mobilita e Zagrebelsky che si dissocia da Repubblica, qui sono scesi in campo come palle di cannone il magistrato Antonino Ingroia non ancora in partenza per il Centro America, il braccio politico della magistratura, ovvero Antonio Di Pietro, e a sera la stessa Associazione nazionale magistrati munita di frustino.  È guerra di agosto, ci stia attento, quelli non sono mica inermi cittadini da tartassare, la Anm non scherza quando  «apprende con preoccupazione che il premier Monti ha definito “grave” il caso delle telefonate del capo dello Stato intercettate, parlando di abusi», quando precisa puntuta che «la questione è oggetto di un conflitto di attribuzione e pertanto appare improprio  ogni possibile riferimento a presunti abusi».  Se non si sente abbastanza minacciato, gentile premier, allora passi all'intervista di Ingroia a Klaus Davi nel miglior stile Torquemada.  «La seconda Repubblica è nata sui pilastri eretti sul sangue di magistrati e persone innocenti. Non potrà mai diventare una democrazia matura  fino a quando non si riuscirà a sapere la verità su quella stagione. Ci si può vaccinare da un peccato di origine, però confessandolo. Se non ci si confessa, non ci si monda da questo peccato originale». «Credo che da parte della magistratura non ci siano mai stati sconfinamenti; semmai ci sono stati da parte della politica». «Non mi sento militante politico ma militante della verità, della giustizia e della Costituzione». «La Seconda Repubblica  non potrà mai diventare una democrazia adulta e matura, almeno fino a quando non si riuscirà a sapere la verità su quella stagione. Perché ci si può vaccinare da un peccato d'origine, però confessandolo. Se non lo si confessa, si rimane con questo peccato d'origine e quindi non si riesce a mondarsi. Di conseguenza quindi la nostra democrazia non potrà crescere mai se non verrà fuori tutta la verità sulle sue origini». Ingroia sfida direttamente Mario Monti, gli fa l'elenco delle cose buone e di quelle cattive. «Ho apprezzato le dichiarazioni rilasciate durante la commemorazione di Capaci, quando ha sostenuto che “l'unica ragion di Stato è quella dell`accertamento della verità”. Non condivido le ultime frasi di Monti sull`operato della Procura di Palermo, ma ovviamente ognuno ha il diritto di sostenere le proprie opinioni, sullo specifico tema delle intercettazioni, ribadisco forte preoccupazione qualora si dovesse rimettere in moto il progetto di legge dell'ex ministro Alfano, in parte approvato dal Parlamento, perché comporterebbe una grave limitazione agli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata». Già, dovesse il Parlamento contare e decidere, esercitare il potere legislativo, per esempio. Ce n'è naturalmente anche per Giorgio Napolitano, colpevole di aver sollevato il conflitto di attribuzione sulle intercettazioni dopo la mancata distruzione delle conversazioni fra lo stesso Napolitano e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino. «Credo che, in generale»  afferma Ingroia, «il conflitto di attribuzione sia uno strumento che al di là delle migliore intenzioni di chi lo attiva può dare luogo a polemiche, equivoci, fraintendimenti, disorientamento da parte dell'opinione pubblica. Crea un clima conflittuale tra le istituzioni stesse. E questo alle istituzioni stesse non credo faccia bene».  Il linguaggio non potrebbe essere più brutale di così, perciò il presidente del Consiglio ha due possibilità. La prima è quella a cui in nove mesi di governo ci ha purtroppo abituati, che si tratti di spread o di tagli, di dismissioni di patrimonio pubblico o di piano per i giovani, ovvero parlarne dottamente e poi non fare niente. La seconda è quella seria, ricordare che non è compito della magistratura scrivere la storia o riscriverla, che la politica è autonoma dal potere giudiziario, non subordinata come Ingroia e la Anm credono e praticano, o si provano a farlo. Poi dovrebbe agire di conseguenza e porci tutti, non solo il presidente della Repubblica ma anche lui, al riparo dagli abusi. Sennò gli restano solo i blitz di Equitalia per fingere di governare qualcosa.

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