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Siamo condannatial ventennio di Monti

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Col fisco opprimente e gli imprenditori in fuga, il Parlamento che fa? Si lega mani e piedi alla Germania: approvati vincoli di bilancio che ci obbligano a pagare più imposte o a essere multati

Andrea Tempestini
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I lettori perdoneranno, ma anche oggi il convento passa la stessa sbobba, che non è zuppa ma pan bagnato. Già, ormai, come i penitenti, ci tocca recitare il rosario di cattive notizie relative alla situazione economica del Paese, che non dà segni di miglioramento, ma, se possibile, di peggioramento. La prima giunta in redazione riguarda il livello di imposizione raggiunto in Italia, vale a dire la percentuale di tasse che ogni italiano deve versare allo Stato. Secondo i dati diffusi ieri dalla Confcommercio, cioè la grande organizzazione che rappresenta i negozianti, il Fisco ormai preleva dalle tasche dei contribuenti non meno del 55 per cento, un numero da record mondiale. Non esiste infatti Paese che pretenda da chi produce reddito una percentuale così alta. Non la Danimarca, che pur fornendo ai propri cittadini servizi di primo livello pretende in cambio il 48,6 per cento. Non la Francia, che si ferma al 48,2, ma nemmeno la Svezia, altro paradiso in cui lo Stato garantisce un welfare da sogno, che si limita al 48. Non parliamo poi di Paesi che hanno fatto delle tasse basse un segno distintivo di libertà:   basti pensare  che in Australia  un contribuente non versa più del 26,2 per cento. Ora, qualche scettico potrà pensare che le statistiche fornite ieri dalla Confcommercio siano il solito pianto dei negozianti, che pur avendo la cassa piena lamentano la crisi. In realtà, i dati distribuiti sono stati confermati da Attilio Befera, direttore dell'Agenzia, il quale  ha addirittura rincarato la dose, sostenendo che il 55 per cento è quanto realmente pagano i contribuenti, ma se si parla di impresa le imposte arrivano in certi casi a sfiorare anche il 70 per cento. Boom. E poi qualcuno ancora si domanda come mai le aziende qui da noi non riescono a crescere e addirittura si interroga sulle ragioni che spingono certi industriali a traslocare all'estero. Perché Marchionne se ne va in Serbia? E come mai tanti imprenditori chiudono la fabbrica per riaprirla oltre confine? Forse perché sono capitalisti spregiudicati? No: lo fanno poiché se restassero in Italia non sopravviverebbero.  Certo, Befera dice anche che da noi ci sono tanti furbi, i quali si guardano bene dal versare anche un solo euro al Fisco. Ma se c'è gente che non paga 154 miliardi ogni anno - questa la stima dell'Agenzia delle entrate - l'erario invece di scovarli e costringerli ad aprire il portafoglio se la prende con la maggioranza silenziosa. La definizione è del numero uno degli acchiappa tasse, il quale sa bene che i tartassati sono i soliti noti. Ciò detto, l'altra cattiva notizia della giornata è che il Parlamento, invece di prendere coscienza di una situazione che rischia di impoverire il Paese, deprimendo i consumi e facendo fuggire le poche imprese che funzionano, non ha deciso un provvedimento per ridurre le tasse e tagliare le spese, come tutte le persone sensate farebbero e come è stato richiesto anche l'altro ieri dal Fondo monetario internazionale. No, ha fatto esattamente il contrario, cioè ha votato il fiscal compact, ovvero il patto che ci impegna per i prossimi vent'anni ad applicare rigide norme di bilancio, pena severe sanzioni dell'Europa. Secondo i calcoli fatti dal nostro Franco Bechis, significa che dal 2013 saremo costretti a fare manovre annuali da 40 miliardi di euro, nel tentativo di rispettare i parametri debito-prodotto interno lordo e deficit-Pil. Misure draconiane, che non lasciano spazio alla riduzione delle tasse, ma semmai a un loro aumento, perché un Paese che non riesce a scovare gli evasori e non è capace di mettere fine agli sprechi, ma finge di farlo attraverso la spending review, non ha altra via se non quella di aumentare le tasse, oppure di soccombere alle multe volute dalla Germania. Approvando in via definitiva il fiscal compact, l'Italia si consegna legata mani e piedi alla Cancelleria di ferro, la donna che ha imposto a tutta la Ue (ma non alla Gran Bretagna) le sue regole. D'ora in poi non sarà possibile decidere nulla, se non chiedendo il permesso ai crucchi. Altro che elezioni, piani per far crescere l'Italia e chiacchiere varie. Qui siamo condannati a vent'anni di Mario Monti, cioè di rigore e sobrietà cimiteriali. Di fatto saremo una succursale di Cruccolandia, che dovrà chiedere l'autorizzazione anche per le decidere le festività infrasettimanali in quanto impattano sul Pil. Ma allora, se è così, che ce lo teniamo a fare Palazzo Madama, Montecitorio, il Quirinale, Palazzo Chigi, corazzieri, commessi e livree. Chiudiamoli e deleghiamo ogni cosa al Bundestag e al Bundeskanzleramt. Almeno risparmieremmo. E poi, se dobbiamo essere sudditi, che sia un impero vero e non  una finta Repubblica fondata sulla Casta. di Maurizio Belpietro

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