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Troppa finanza e poche auto. Così Stellantis ha mandato gambe all'aria l'impero Fiat

Gianluigi Paragone
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Il 2024 ha riportato il gruppo Stellantis all’anno 1956, allora però c’era la sola Fiat che sfornava all’incirca 475 mila veicoli. Oggi il numero delle auto e dei furgoni prodotti in Italia dal gruppo Stellantis è lo stesso, ma oltre a Fiat ci sarebbero anche Lancia, Alfa Romeo e Maserati. Dunque? Un disastro, che pare non abbia fine nemmeno ora che Tavares ha lanciato la plancia di comando a favore di John Elkann, finora presidente del gruppo. Il 2025 inizia con la Juve che esce subito dalla prima competizione dell’anno, alla faccia del progetto di Elkann di puntare sulla nuova coppia Thiago Motta e Giuntoli, al posto di Massimiliano Allegri troppo legato ad Andrea Agnelli. Allegri era un vincente, antipaticamente in stile Juve (io personalmente da tifoso gli chiedo scusa per come l’ho trattato l’ultimo anno: aveva ragione lui); questo Thiago Motta invece rischia di essere l’ennesimo sopravvalutato, viziato e modesto jolly della nuova banda voluta da John Philip Jacob.

Del resto se il gruppo Stellantis fa pagare la Y10 come fosse una Maserati in scala, ci sta che Elkann non battesse ciglio quando Giuntoli pagava Koopmeiners, Nico Gonzales e Douglas Luiz a peso d’oro per essere oggi derisi in Italia e in Europa. Bazzecole, quisquilie e pinzillacchere direbbe Totò. Un po’ come tutta la storia del signor Elkann, intoccabile manager di insuccesso, il cui unico capolavoro è aver rabbonito il signor Maurizio Landini a colpi di prime pagine e interviste politiche su Repubblica. Oggi Yaki è amministratore delegato a interim di Stellantis dopo l’addio di Tavares «concordato con l’amico John»; un addio di cui non sono nemmeno chiare le cifre di liquidazione. Ma che importa? A parlare erano già le cifre mostruose di stipendio che il ceo portoghese di Stellantis si portava a casa senza che nessuno dicesse mezza parola.

 

 

Del resto, chi gli avrebbe garantito 17 miliardi di dividendi in 4 anni? Ecco cosa sono bravi a fare questi manager che danno lezioni ai giovani sul merito, sul coraggio di rischiare e tante altre belle chiacchiere un tanto al chilo. Loro incassavano e Tavares teneva le fabbriche sul filo del massimo stress: produzione al minimo, tira e molla col mercato auto come fosse una trattativa in borsa, prezzi alle stelle e lavoratori a guinzaglio corto. Fintanto che il mercato si è girato e ha preso un’altra direzione che i “geni” non avevano previsto. Oibò... Torino aveva la fabbrica d’auto più grande d’Europa, la Mirafiori. Sfornava sogni alla portata di tutti, soprattutto di un popolo che stava cominciando a crescere miracolosamente. Torino era Valletta e il suo popolo operaio. Torino era la Juve dell’Avvocato, che l’ha amata come fosse la più bella Signora. Torino era regale. Era vincente nella sua mentalità, in azienda come sul campo: «Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta», metteva in chiaro Boniperti. Che è un po’ come quando Sergio Marchionne disse: «Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi quando tornavo a Torino il sabato e la domenica andavo a Mirafiori senza nessuno, per vedere quel che volevo io: le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi.

Cose obbrobriose. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato?». Era Marchionne, però. Aveva una identità, aveva fame e soprattutto voleva vincere. Anche a costo di denunciare che solo in Italia ad agosto è tutto chiuso per ferie. Buuum!!! Infatti tra lui e Landini, allora alla Fiom, erano fulmini e saette. Stellantis chiude il 2024 con le fabbriche che se non lavorano è per colpa di scelte industriali fallimentari. Ma l’importante è fare finanza.

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