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Risparmio degli italiani, la ricetta per tornare a valorizzarlo

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La concentrazione in mattone e conti correnti non ha fatto bene ai portafogli degli italiani, che si sono impoveriti negli ultimi dieci anni. Gli ingredienti per far ripartire il risparmio? Diversificazione, gestione attiva e orizzonte di lungo periodo

Il portafoglio degli italiani non è più quello di un tempo, nonostante una propensione al risparmio delle famiglie ancora solida. Ma la capacità delle famiglie di generare ricchezza è messa sotto pressione da un flusso di reddito su un trend da anni debole e da una ridotta capacità di valorizzare il patrimonio di risparmio già presente.

Infatti, come mostrano i dati dell’Associazione Italiana Private Banking, il tasso di risparmio, seppure a fronte di consumi relativamente stabili, è gradualmente sceso dal 28% degli anni Ottanta all'8,4% del 2024. E se il patrimonio di risparmi rimane molto significativo, oltre 10 mila miliardi di euro, è mancata la capacità di farlo fruttare, anche a causa di scelte fai-da-te poco lungimiranti.

Il risultato? Nel periodo 2011-2022 la ricchezza media degli italiani è sì aumentata da 144 mila euro pro-capite a 176 mila euro, ma lo stesso dato viene guardato al netto dell’inflazione, il trend è un ben più desolante -7,7% (dati di Istat e Banca d’Italia).

Ma quali sono state queste scelte poco accorte che hanno penalizzato il risparmio in Italia? Da sempre, è il mattone l’investimento preferito dagli italiani, con il risultato che ben il 51% della ricchezza delle famiglie è concentrata negli immobili. Un bene che negli ultimi dieci anni, se si escludono alcune grandi città, ha riservato poche soddisfazioni: alla fine del 2023, il prezzo medio delle case esistenti in Italia era diminuito di oltre il 3% (dati Istat).

La componente di ricchezza finanziaria, invece, che si attesta al 30% del patrimonio totale, mostra un’istintiva preferenza per gli investimenti tradizionalmente visti come più “sicuri”, con ai primi posti la liquidità (40%) e il comparto obbligazionario (45%), mentre le azioni rappresentano solo una componente minoritaria (10%).

Ma il denaro fermo sui conti è vulnerabile all’inflazione, con un valore reale che non può far altro che ridursi. E per quanto riguarda le obbligazioni, nei lunghi anni dei tassi a zero hanno portato poco o nessun rendimento, prima di deprezzarsi con i forti rialzi dei tassi del biennio 2022-2023.

Insomma, come mostrano i dati AIPB, queste scelte in apparenza prudenti si sono rivelate poco remunerative. Negli ultimi 10 anni, l’azionario ha restituito agli investitori un 10,7% annuo, contro il 3,9% dei bond. E quindi non è un caso che i portafogli delle famiglie private, che si avvalgono di consulenza professionale, siamo ben più diversificati e orientati all’investimento nel capitale di rischio: il 29% è investito in azioni, mentre la liquidità è ferma al 12%.

Grazie a questo approccio basato sui pilastri di diversificazione, gestione attiva e consulenza professionale dei banker, le famiglie private hanno visto una crescita maggiore dei propri risparmi. Il settore Private Banking ha registrato una crescita degli asset superiore rispetto a quella degli altri canali, con un incremento del 12,8% degli asset in gestione nel 2024, significativamente migliore del +1,3% degli altri operatori.

“I mercati, negli ultimi anni, non sono stati un mare facile in cui navigare per le famiglie, specie senza una bussola professionale. Per questo con i nostri private banker abbiamo affiancato i clienti per proteggerne il patrimonio nel tempo e aiutarli a realizzare i loro progetti. Accompagnare le famiglie con una consulenza professionale che sappia cogliere a pieno le opportunità dei mercati, attraverso diversificazione e approccio di lungo periodo, è stato il nostro obiettivo. Perché, come si vede dai massimi delle Borse nell’ultimo anno, le occasioni non sono mancate”, spiega Marco Bernardi, vice-direttore generale di Banca Generali.

I risultati di un approccio di questo tipo si vedono nei numeri: grazie alla capacità di cogliere questi trend e di stare al fianco dei clienti, il portafoglio pro-capite dei private banker di Banca Generali è cresciuto negli ultimi dieci anni da 22 milioni di euro fino a 42,7 milioni, collocandosi ai vertici del settore. Tendenza che non hanno mancato di riflettersi nella crescita della banca stessa, con masse in gestione passate dai 36 miliardi di fine 2014 ai 101 miliardi di fine settembre 2024. In questo modo Banca Generali è cresciuta fino a diventare la terza private bank del Paese e la prima che fa della consulenza il suo core business, senza essere un’emanazione delle maggiori banche commerciali italiane.

Ora che le prospettive dei mercati per il 2025 rimangono, per molti esperti, positive, ma potenzialmente più volatili, sarà ancora più cruciale non approcciarsi ai mercati con un approccio fai-da-te, ma essere affiancati da una consulenza professionale in grado di valorizzare il risparmio attraverso diversificazione, gestione attiva e uno sguardo di lungo periodo.

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