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Tra i cittadini del Vecchio Continente monta l'euro-insofferenza

Mario Giordano

Tre italiani su 4 rimpiangono la lira. Le valute alternative? Una forma di resistenza, ma è solo l'inizio

Andrea Tempestini
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Non è folklore. È spirito di sopravvivenza. Sarebbe un errore grave ridurre le monete locali a un fenomeno di colore, perché in realtà dietro di esse si nasconde la grande questione dei nostri giorni: i cittadini europei sentono che nelle tasche stanno portando il loro vero nemico. Sentono, cioè, che quell'euro che fu loro imposto e fatto ingurgitare a suon di melassa ufficiale, si è rivelato il principale ostacolo per lo sviluppo,  la crescita, il benessere. Ci doveva regalare una stagione d'oro, ci ha regalato invece gli anni più cupi che potessimo immaginare. Non ci ha protetti dalla crisi. Non ci ha protetti dalle speculazioni. Non ha mantenuto nessuna delle promesse con cui ce l'avevano presentato. Ci ha solo spinti in un vicolo cieco di depressione e disoccupazione da cui non sappiamo uscire. Ricordate il Capodanno di dodici anni fa? Anno d'oro 2002, eravamo tutti impazziti nelle notti magiche dell'euroforia. C'erano gli europarty, le eurofeste, gli euroballi, gli euroautobus, gli eurodolci, le europizze, le eurofagiolate, gli euroconvertitori da regalare a tutti, le euroscarpe, le europenne, gli eurofumetti che annunciavano gli euroanni più eurofelici che potessimo immaginare. Era tutto eurofantastico, con il professor Prodi che gongolava annunciando l'inizio di un'epoca nuova e assai più serena per tutti. Infatti s'è visto com'è andata a finire: in quei giorni i sondaggi dicevano che solo il 5 per cento degli italiani aveva qualche dubbio sulla moneta unica. Oggi secondo i dati ufficiali dell'Eurobarometro  (primavera 2013) la percentuale di dubbiosi è salita al 41 per cento. Ma secondo altre ricerche, come quella realizzata dall'Ipsos per l'associazione casse di risparmio, è addirittura al 74 per cento. Tre italiani su quattro, cioè, sarebbero pronti domani a tornare al vecchio conio, per dirla con Bonolis. E dunque? Dunque, nell'attesa che qualcosa succeda, nascono le monete locali, piccole reti che s'intrecciano nelle contrade del Continente, circuiti alternativi che cercano di sfuggire al regime valutario. Hanno tutte nomi piuttosto strani: il Chiemgauer in Germania (che si svaluta del 2 per cento ogni tre mesi e dunque invita tutti a spendere), il Bonùs lanciato a Nantes in Franca da due economisti della Bocconi, il Tem nella cittadina di Volos in Grecia,  l'Eco in Spagna , lo Scec in Italia, che coinvolge 12mila abbonati ed è stata accettata come mezzo di pagamento anche da un'istituzione pubblica, il IV municipio di Roma. Potranno mai essere vere monete? No, e  probabilmente nemmeno aspirano a diventarlo, dal momento che prevedono per lo più una circolazione parallela all'euro, e non alternativa.  Ma, appunto, attenti a non farvi fuorviare da questi nomi strani, attenti a non cadere nella trappola del folklore. Perché dietro il Chiemgauer  e il Bonùs si cela un desiderio quando mai radicato e reale: quello di allontanarsi più possibile dall'euro. Un sentimento che accomuna sempre più europei, in modo sempre più trasversale. E che ormai neppure le fonti ufficiali dell'euro-entusiasmo possono più negare: i  grandi giornali continuano a battere la gran cassa dell'Unione monetaria, ma non possono fare a meno di notare che questa situazione, con l'euro sopravvalutato, i Paesi in ginocchio, l'austerità che fa aumentare la depressione e richiede altra austerità, e così via in un circolo vizioso senza fine, non può essere sopportata a lungo. Per il momento la resistenza di chiama Volos o Scec. Ma è solo l'antipasto della ribellione. di Mario Giordano

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