Assalto del Pd al Monte dei Paschi
All'assemblea di venerdì è mancato il numero legale. La battaglia sull'aumento di capitale varato da Profumo serve per mantenere la presa sulla ex cassaforte di Siena
Volti tirati tra i manager di Mps. Nessuno però è sorpreso dalla situazione. In molti si aspettavano l'eventualità che mancasse il quorum del 50% e si dovesse riunire nuovamente l'assemblea stamattina. In seconda convocazione. Così è stato. La percentuale non ha superato il 49,3%. Ma il giorno in più non sembra essere servito a ricucire la rottura tra la visione del presidente della banca Alessandro Profumo e quella della numero uno della Fondazione Antonella Mansi. In ballo c'è parecchio: strategie e visioni di potere opposte. Da un lato, l'aumento di capitale da tre miliardi di euro da fare subito per evitare la nazionalizzazione (c'è tempo fino a fine 2014) e probabilmente aprire ad azionisti istituzionali non ostili a Profumo. All'opposto, una strategia di medio periodo finalizzata prima alla salvezza e poi al rilancio della Fondazione. Ieri, presenti i grandi soci - oltre a Rocca Salimbeni, Giovanni Alberto Aleotti del gruppo Menarini con una quota del 4%, JpMorgan (2,5%) e Axa (2,05%) - probabilmente a consentire indirettamente il mancato raggiungimento del quorum è stata la minor presenza di Unicoop, che nell'ultimo periodo ha venduto azioni ed è scesa nella quota di capitale. Ma oggi basta una soglia del 33% per il quorum, e la forza della Fondazione si farà notare ancora di più dall'alto del suo 33,5%. «Siamo sereni, ci vediamo domani», ha detto la Mansi lasciando l'assemblea ieri mattina: «Noi non abbiamo mai smesso di lavorare e il nostro atteggiamento non è mai cambiato. Non sono una strega», ha detto a chi chiedeva cosa sarebbe successo oggi, «anche se c'è chi mi immagina così». Un messaggio chiaro: se non si cambia strategia, significa che la Fondazione andrà avanti nello sfruttare i prossimi sei mesi per evitare di perdere del tutto il boccino e per mettere in cascina fieno che servirà per il 2014 e il 2015. Secondo indiscrezioni, a spingere i vertici di Rocca Salimbeni in questa direzione ci sarebbero stati i consigli di tre grandi esperti di finanza e di Fondazioni: Giuseppe Guzzetti, Giovanni Bazoli e Romano Prodi. La Fondazione avrebbe lavorato per opzionare il 10% delle proprie azioni a un valore di 0,18 euro nei confronti di altre fondazioni e banche creditrici. Con tale importo calcolerebbe di saldare i debiti (circa 340 milioni) già a gennaio. Nei mesi successivi darebbe il via alla danza delle vendite di una quota considerevole del rimanente 23%. Fino a incassare più o meno 150 milioni da tenere liquidi per le esigenze dell'Ente. E col restante incasso partecipare al futuro aumento di capitale. Con l'obiettivo di uscire dalla tempesta possedendo una percentuale vicina al 5 di capitale della banca. Una manovra complicata, che dall'esterno potrebbe sembrare poco lucida. Ma senza i sei mesi di agio per le vendite, la Fondazione rischierebbe di trovarsi alla fine dell'aumento di capitale alla stessa quota vicina al 5%, ma senza in cascina il fieno per poter continuare a fregiarsi del nome di Fondazione. Eventualità che i tre strateghi e l'ala sinistra di riferimento avrebbe mal digerito. A questo punto, le mosse intraprese sembrano lasciare Profumo solo. In passato con la casacca di Unicredit si era già scontrato con le Fondazioni e l'esito non gli era stato favorevole. Nei giorni scorsi il manager ha fatto dichiarazioni dure sull'eventualità di far slittare l'aumento di capitale, ventilando l'opzione delle dimissioni. Nel suo periodo di gestione di Mps certe scelte sono state prese con la benedizione del ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni. Ma adesso l'aria sembra cambiata. Già quando si scelse la Mansi per il ruolo di presidente della Fondazione al posto di Francesco Maria Pizzetti in molti ipotizzarono l'arrivo della bufera. Pizzetti era ben visto, oltre che da Profumo, anche da Giuliano Amato e per osmosi dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Quella fu la prima grossa crepa a favore delle Fondazioni. Ora, a maggior ragione, nel gioco di scacchi sono rimaste poche pedine da muovere. Salvo imprevisti - compreso un rinvio alla terza convocazione - sarà dura mettere in minoranza la strategia di Prodi, Guzzetti e Bazoli (l'ordine è causale). Anche perché in ballo non c'è solo il futuro di Mps ma quello di un intero sistema. di Claudio Antonelli