L'ultima follia targata Prodipatrimoniale sui conti più ricchi
Dal pensatoio di Nomisma, vicino al Mordatella, esce l'ennesima vampirata
Ci risiamo. Si torna a parlare di patrimoniale come metodo per curare il «paziente» Italia con una terapia shock che, per la verità, potrebbe portarlo direttamente alla tomba. La ricetta, contenuta nell'editoriale della newsletter di Nomisma, prevede un prelievo una tantum del 10% sulla ricchezza finanziaria del 10% più abbiente della popolazione. Un salasso da applicare in quattro dosi, cioè in quattro anni, dal 2014 al 2017. Il gettito complessivo, secondo i calcoli dell'articolo, sarebbe di 113 miliardi. Ma, vista la forte selettività del campione da spremere, l'effetto non sarebbe recessivo ma, al contrario, stimolerebbe l'aumento della domanda. La proposta, per la verità, ricalca da vicino la «provocazione» contenuta in un quaderno del Fondo Monetario di ottobre, allora riferita alla zona euro nel suo complesso. Ma merita occuparsene sia per la qualità degli autori che per i tempi scelti da Nomisma, uno dei pensatoi bolognesi di scuola prodiana. Ma anche per i tempi scelti per l'operazione, a ridosso nel pressing della Germania sui «contratti vincolanti» per i singoli Paesi, Italia in testa. Non è difficile immaginare che, per soddisfare le richieste di Berlino, la via più spiccia passerà proprio per una patrimoniale. E che, per indorare la pillola, non c'è nulla di meglio che presentare la terapia, non come un modo per riequlibrare i conti pubblici senza far correre a Berlino il «rischio» di partecipare ad eurobond o consimili, ma come un modo per redistribuire il reddito a favore dei più poveri. A suggerire la patrimoniale Robin Hood sono nomi di prestigio: il capo economista della società di consulenza, Sergio De Nardis, e, soprattutto, il presidente Pietro Modiano che non è certo un esperto qualsiasi. Modiano è da sempre il banchiere più omogeneo all'area di sinistra, così affidabile da meritare compiti delicati come quello di guardiano dei conti della Tassara di Romain Zalesky, così cara a Giovanni Bazoli. Non stupisce che Modiano, banchiere in Intesa e prima ancora in Unicredit ma oggi anche presidente in Sea, abbia trovato il tempo per escogitare la formula per uscire dalla crisi e rilanciare i consumi con una bella tassa straordinaria. Ecco il ragionamento. Su 2.400 miliardi di «ricchezza liquida» delle famiglie italiane, il 47,5%, ovvero 1.130 miliardi, è posseduto dal 10% più ricco. Tassare i conti correnti milionari e i grandi patrimoni azionari al 10%, dunque, frutterebbe allo Stato più o meno 113 miliardi. Una manovra del genere, spalmata in quattro rate annuali da 28 miliardi l'una, a partire dal 2014, porterebbe fra cinque anni, nel 2018, a un pil di 4,5 punti in più. A render possibile il mini boom sarebbe il trasferimento di risorse «a favore delle famiglie disagiate e delle imprese», a tutto vantaggio dell'aumento dei consumi. Tutto merito della ricetta di Robin Hood: i ricchissimi, nonostante il prelievo, resteranno comunque super-ricchi e continueranno a comprare caviale e champagne. Le famiglie «in povertà assoluta», ormai il 6,8% del Paese (569 mila in più negli ultimi due anni per un totale di 1,7 milioni di italiani), potranno permettersi di nuovo i consumi cui hanno dovuto rinunciare in anni durissimi. Infine, a completare la quadratura del cerchio, «il prelievo non toccherebbe i piccoli risparmiatori e i loro titoli di Stato». Sotto l'albero, insomma, anche la patrimoniale assume le sembianze di Babbo Natale. Ma le cose stanno così? Modiano, che i superricchi li conosce e, tra una marcia politically correct e l'altra, li frequenta pure, sa benissimo che i grandi patrimoni hanno molte armi per sfuggire ad prelievo forzoso, anche di proporzioni ben più modeste. Operazioni di questo tipo, vedi la patrimoniale voluta da François Hollande, servono a far fuggire Gerard Depardieu alla corte di Putin piuttosto che ad aumentare il gettito. Non occorre la sfera di cristallo per prevedere che l'operazione «prendi ai ricchi dai ai poveri» si tradurrebbe in una spremitura sui risparmi, attraverso i fondi azionari, i fondi pensione e i conti correnti. Perché pensarci, allora? Perché, ammette candidamente la coppia di Nomisma, nell'area euro così come è concepita oggi la competitività si recupera solo «comprimendo la domanda interna e operando svalutazioni interne, abbassando la dinamica di prezzi e i costi di produzione sotto quelli della Germania». Una medicina amara perchè, «come vuole Berlino, tutte le economie dell'area sono impegnate simultaneamente nel recupero». E l'Italia, «volente o nolente, è coinvolta nel processo, pena la perdita di terreno nei confronti dei partner euro». Insomma, la Merkel c'imporrà i sacrifici. E non basteranno certo le privatizzazioni (che non si fanno per non perdere il posto) a cambiare la rotta. Non solo ai ricchi, anzi probabilmente non a loro. Ma l'ipocrisia dei banchieri democratici non si ferma certo di fronte aquesti particolari. di Ugo Bertone