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"L'austerity fa male ai conti" Ma l'Europa censura il (suo) studio

Una ricerca della Commissione evidenzia i danni collaterali del rigore per Grecia e Italia. Poi cancella tutto e ripubblica: "Solo un parere personale"

Matteo Legnani
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Per avere un'idea del livello di tensione, anche politica, nelle istituzioni europee, è utile raccontare la storia legata a un innocuo paper di un economista della Commissione europea, l'olandese Jan in 't Veld, pubblicato poche settimane fa con il titolo «Consolidamenti fiscali e ricadute nella periferia e nel centro dell'Euroarea». Il documento è datato ottobre 2013 e, in sostanza, è un'analisi piuttosto secca sull'effetto-contagio dell'austerity, cioè la politica di contenimento fiscale voluta dalla Ue a trazione tedesca nel biennio 2011-2013.  L'analisi - In sé, il contenuto del documento non è una travolgente novità: In 't Veld si limita a rivelare che l'effetto depressivo di una misura di contenimento fiscale non ha effetti solo sul Paese che la applica (il famoso moltiplicatore fiscale oggetto di uno storico mea culpa del Fondo monetario internazionale), ma anche sui Paesi contigui. Una sorta di ricaduta, appunto, o contagio (l'economista lo chiama «spillover») che si dilata ai Paesi in rapporti economici. Lo studioso calcola, alla luce dei dati di quest'ultimo biennio, l'effetto-rimbalzo dell'austerity. Ovvero: se la Germania effettua un contenimento fiscale dell'1% del Pil, questa scelta ha effetti non solo sulla domanda e sui consumi a Berlino, ma anche sui Paesi che hanno scambi commerciali coi tedeschi. Per cui se, per esempio, l'Italia a sua volta, sotto le clausole europee, tira la cinghia per uno, due, tre punti di Pil, alla recessione indotta va aggiunto lo «spillover» tedesco, più quello degli altri partner.  La beffa per l'Italia - Non solo lo spread insomma, ma anche l'austerity è una sorta di contagio che si estende soprattutto nella periferia dell'eurozona. In effetti, l'esperto della Commissione Ue segnala Grecia e Italia come i Paesi più provati da questa politica economica «indotta». Il concetto è piuttosto semplice: aumentare le tasse o tagliare la spesa impoverisce la domanda, il che ha effetti sulle importazioni e quindi sui Paesi che esportano. Già nel 2012, per esempio, l'economista Mario Seminerio, autore di «La cura letale» (Rizzoli, dedicato proprio all'austerity), scriveva: «In un'area economica fortemente interrelata e i cui membri stanno praticamente tutti adottando una stretta fiscale, il moltiplicatore tende ad innalzarsi. Cioè il danno da austerità tende a massimizzarsi. Perché l'Eurozona non è la sommatoria di diciassette economie relativamente piccole e aperte, ma il maggior blocco economico del pianeta». Il peso del paper di In 't Veld dunque è eminentemente politico: dopo l'Fmi che aveva ammesso di aver sottovalutato l'impatto del moltiplicatore fiscale, un altro pezzo della «troika» (composta dal Fondo stesso, dalla Bce e appunto dall'Ue) riconosce una stortura di fondo nella stella polare della ricetta scelta per affrontare la crisi dei debiti sovrani dal 2011 in avanti. Ricetta, nel nostro caso, portata avanti con determinazione dal governo Monti, per non parlare della Grecia. Su Ekathimerini, uno dei più noti giornali di Atene, Nikos Chrysoloras ha immediatamente ripreso lo studio con una certa evidenza, mettendo in luce la beffa subita da Paesi come il suo, sottoposti ai danni dell'austerity in patria e a quelli collaterali degli Stati più forti. Ecco, poche ore dopo - come hanno scritto anche i blog del Financial Times e del Wall Street Journal - lo studio del professore olandese è sparito, e lo stesso ha declinato ogni commento in merito vista la non ufficializzazione dei dati. "Idee personali" - Poco dopo, il paper è rispuntato con un anodino asterisco sotto il titolo, che recita così: «Le opinioni contenute in questo documento sono dell'autore e non dovrebbero essere attribuite alla Commissione europea». A questo punto, chi voglia sospettare trova pane per i suoi denti. Perché la Commissione Ue prende le distanze da un suo autorevole economista? Le sue analisi potevano sembrare forse una sconfessione della linea europea sulla crisi? E ancora: che peso politico ha riconoscere, come fa la ricerca, che la Germania ha grandemente guadagnato dal biennio passato? Il doloroso riassestamento di questi anni ha sì riequilibrato le bilance commerciali (non tutte), ma ha peggiorato «ulteriormente» (dice In 't Veld) proprio i parametri che si proponeva di correggere (debito/Pil e deficit/Pil su tutti): la Commissione si può permettere di certificare col suo timbro ufficiale questo dato di fatto? di Martino Cervo

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