Mes, Antonio Patuelli a Senaldi: "Italia, difenditi. L'Europa maltratta le nostre banche"
«Bisogna avere il coraggio di ricordarlo: le banche italiane sono state maltrattate in Europa, non in termini generali ma dalla Commissione Ue. Io sono uno dei promotori dell' impugnativa per la gestione del caso Tercas, la prima crisi di un nostro istituto di credito, dalla quale sono derivate tutte quelle successive, Ferrara ed Etruria comprese. La Commissaria alla Concorrenza, la signora Margrethe Vestager, si oppose al salvataggio della banca da parte del Fondo interbancario di tutela dei depositi, giudicandolo aiuto di Stato, ma il 19 marzo scorso il Tribunale Ue che ha sede a Lussemburgo ha accolto il nostro ricorso, sostenendo che la signora aveva torto. Mi sono molto stupito quando, a maggio, la Commissione ha impugnato la sentenza e confido che in sede d' Appello la decisione a noi favorevole sia confermata, altrimenti dovremmo dedurre che in Europa ci sono due pesi e due misure, a seconda della nazionalità degli istituti di credito esaminati». Allude al fatto che proprio la settimana scorsa l' Europa, con la Vestager confermata alla Concorrenza, non ha giudicato aiuti di Stato i 3,6 miliardi stanziati da due Lander tedeschi per evitare il fallimento della banca Nord Landesbank? «Non entro in polemica. È un fatto però che Moody' s ha promosso le banche italiane». Ritiene che la prossima crisi arriverà dalla Germania? «Spero che non arrivi da nessuna parte. Quanto alle agenzie di rating, esse giungono sempre in ritardo. Quando Lehmann fallì, loro la consideravano ancora una banca sicura. Però attenzione, il rallentamento industriale della Germania è per noi una pessima notizia, perché la nostra economia è interconnessa a quella tedesca in modo importante. Se vanno male loro, noi non riusciamo ad andare bene». Per questo nel 2011 le nostre banche si sono tassate per salvare quelle tedesche, imprudentemente troppo esposte con la Grecia? «Fu una decisione europea. Certo, la Repubblica italiana fu molto generosa e questo in giro per l' Europa spesso non lo vogliono ricordare». I nostri istituti erano esposti per il 5% dei debiti di Atene ma ne sanammo il 18 «Quel grande sacrificio ci ha procurato molti problemi, ma la Ue lo vede come un episodio, non gli dà il corretto valore, come io invece auspicherei». Ma come stanno i nostri istituti? «Non dispongo dei dati sui flussi singoli di Vigilanza. Il valore dell' aggregato dimostra che il settore ha fatto grandi progressi. Poi certo, c' è chi va bene e chi va male». Leggi anche: "Perché è una battaglia marxista". Di Battista contro il Mes, la sua "lettura" Antonio Patuelli è difensore di lungo corso del credito italiano. Un combattente romagnolo che non ha avuto paura di denunciare un paio di settimane fa sui giornali i pericoli connessi al fondo Salva-Stati. Arrivò fino a minacciare di smettere di comprare titoli di Stato, se si fosse penalizzato il debito pubblico. «Mi sono allarmato quando ho scoperto che gli Stati nordici volevano far seguire al Mes la valutazione della rischiosità dei titoli di Stato degli Stati membri nella valutazione della solidità dei sistemi. Avrebbe ridimensionato il valore dei nostri istituti, costringendoli a forti ricapitalizzazioni, e sarebbe stata una leva automatica per lo spread». Oggi il presidente dell' Abi è un po' più tranquillo, perché la ponderazione dei titoli di Stato non è entrata nell' accordo, ma soprattutto per lo scenario mutato. «Ho fatto bene a tracciare la linea del Piave», commenta soddisfatto, «ora il commissario Gentiloni, che io reputo un combattente, deve schierarsi in trincea e difenderla. Non deve fare come la Mogherini, che se ne è appena andata senza che nessuno in Italia sentisse il bisogno di ringraziarla per come ha svolto il suo mandato». Presidente, in Europa ci hanno provato ancora una volta a giocarci un tiro mancino? «L' Europa si muove in un quadro di grande incertezza. Manca una Costituzione che dia dei principi e delle norme inderogabili a tutela di tutti. E pertanto ogni trattato diventa una singola negoziazione che può nascondere dei pericoli, perché ogni volta si riparte da zero nel gioco delle reciproche garanzie». Qual è il pericolo insito nel Mes? «Il fatto che il Mes sia basato su un accordo intergovernativo e non trovi origine nella legislazione europea e pertanto con un ridotto ruolo del Parlamento europeo». Quindi c' è un deficit democratico, visto che i Paesi hanno diritto di veto ma possono anche essere messi nelle condizioni di non potersi permettere di esprimerlo? «Finché non ci sarà una Costituzione, una cornice giuridica ai trattati, l' Europa resterà sempre un posto dove vige anche la regola del più forte. L' Italia non è storicamente un Paese prepotente, in più abbiamo un enorme debito pubblico. Le regole, lo Stato di diritto, ci convengono». Sta descrivendo i negoziati Ue come una discussione da Far West? «In Europa oggi devi difenderti, e a volte non ce la fai. Per questo ho alzato la voce». Le quattro banche italiane fallite, Etruria, Marche, Chieti e Ferrara, andarono a gambe all' aria perché il governo di Renzi non riuscì a difenderle? «L' Unione europea impedì l' intervento del fondo interbancario che le avrebbe salvate e questo diede luogo a una crisi molto più ampia, che ci costò molto di più e fece pagare retroattivamente il conto anche ai piccoli risparmiatori che avevano investito in obbligazioni subordinate. In altre circostanze e altri Paesi questo diniego non scattò o non sarebbe scattato». Ma la famosa unione bancaria, entrata in funzione nel 2014, non avrebbe dovuto salvare le quattro banche? «L' unione bancaria è in funzione solo parzialmente, nei suoi compiti di vigilanza. Le decisioni relative alle garanzie della Ue sui depositi però non sono mai state attuate, perché c' è chi teme di pagare i nostri debiti. C' è una grande contraddizione: abbiamo una vigilanza unica ma sono rimaste diverse le normative nazionali di diritto bancario e le leggi penali che regolano la finanza. Ma se un' operazione è vietata in uno Stato e permessa in un altro, i soldi si spostano nel Paese più attrattivo, lasciando in povertà quello più rigoroso. Senza un' omogeneizzazione giuridica che tuteli tutti allo stesso modo non ci sarà mai una vera Europa». Quanto è vero che i tedeschi puntano i risparmi degli italiani, che singolarmente sono più ricchi di loro, per costringerci a sanare il nostro debito pubblico e i loro debiti bancari con una maxi-patrimoniale? «Noi italiani siamo culturalmente fermi all' epoca romana, ci illudiamo di essere ancora il centro del mondo. Gli altri però ci vedono per quel che siamo realmente, una lunga propaggine meridionale dell' Europa, che ha il suo centro sul Reno, tra Francia e Germania, e che ora con l' allargamento a est sta ancora cambiando geografia». Quindi? «Quindi dobbiamo cominciare a pensare a tirarci fuori dai guai da soli. Il debito pubblico sale ininterrottamente da 52 anni, chiunque governi, e questo malgrado l' euro garantisca tassi d' interesse bassi. Bisogna assolutamente fermarne l' aumento, perché esso impedisce gli investimenti di cui avremmo bisogno ed è il vero freno alla crescita e alla ripresa. In una fase di stagnazione come quella attuale gli investimenti pubblici sono una delle leve principali dell' economia». Colpa della politica se il debito corre? «Insegue il consenso e non prende decisioni strutturali importanti, dimenticando che per non perdere i voti conquistati non bisogna pensare solo alla scadenza elettorale più imminente, altrimenti le crescite sono volatili. Ne abbiamo già tanti esempi. Altrettanto nocivo è che la politica si dilani in reciproche delegittimazioni anziché favorire un clima di fiducia nel Paese». I soldi però in Italia ci sarebbero. Abbiamo 1.700 miliardi fermi sui conti correnti: perché? «Sono tutti quattrini pronti per essere investiti. Un tempo i privati li avrebbero utilizzati per comprare Bot, ma visto che oggi i titoli di Stato non rendono nulla o quasi, la gente preferisce restare liquida e non correre neppure i rischi minimi. Tutti restano guardinghi perché non c' è certezza sul futuro politico, normativo, giudiziario». Perché non siamo ancora usciti dalla crisi dopo oltre dieci anni? «Perché l' Europa non ha avuto una reazione unitaria e non è arrivato un piano Marshall da fuori, visto che la crisi, giunta dagli Usa, ha portato l' America a chiudersi in se stessa, atteggiamento che è durato anche dopo che ne è uscita. Trump oggi lo sta estremizzando, ma non l' ha iniziato lui». di Pietro Senaldi