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Pensioni, una su due è regalata

Tra assegni sociali, di guerra e di invalidità, il 7,2% degli italiani mantiene tutti gli altri: le cifre dello scandalo

Nicoletta Orlandi Posti
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Una pensione su due è praticamente regalata. Più precisamente il 46% dei percettori di assegno previdenziale non è coperto dai contributi versati durante la vita lavorativa. Deve intervenire lo Stato per rimpolpare la cifra, che il più delle volte è bassa. Andiamo per ordine, prendendo in considerazione gli ultimi dati disponibili, ovvero quelli del 2010:  a)  Arrivati a 65 anni ben 6.900.000  lavoratori non avevano i contributi per l'assegno minimo, che va da 430 a 630 euro, per cui c'è stato bisogno di un aiutino della fiscalità generale, cioè i proventi delle nostre tasse. Stiamo parlando di contribuenti che hanno lavorato meno di 15 anni, quindi sotto la soglia minima per accedere alla pensione. Quanto valgono questi pensionati? Circa 10 miliardi e mezzo l'anno.  b) In Italia ci sono 830mila persone che percepiscono assegni sociali. Tutta gente che non ha mai pagato una tassa né versato un contributo. Alla collettività però costano 4,2 miliardi l'anno. c) Il secondo conflitto mondiale è terminato 68 anni fa, eppure l'Inps paga ancora 300mila pensioni di guerra, tra dirette e indirette. Spesa complessiva: 1,3 miliardi l'anno. d) Capitolo invalidità. Non stiamo certo a contestare prestazioni in favore di persone meno fortunate di altre. Sta di fatto che anche questa è una voce a carico interamente della fiscalità generale: dopo un giro di vite iniziato nel periodo 1984-1994, siamo scesi da 4,5 milioni a poco meno di un milione di invalidi. Ora le prestazioni a carico dell'Inps sono di due tipi: 1) indennità di accompagnamento, la cosiddetta accompagnatoria, che destina 13 miliardi a 1.950.000 persone. 2) Invalidità civile, che ha visto un vero e proprio boom: sono 850.000 i percettori di questa pensione per un costo di 3,7 miliardi.  Facciamo un piccolo calcolo: sommando le categorie di pensionati che abbiamo appena elencato emerge che il 46% dei pensionati Inps non ha pagato contributi (se l'ha fatto erano insufficienti) né tasse, considerando che il numero totale di assegni previdenziali è pari a 23.000.000.  Eppure domenica, nei tg, giravano numeri appariscenti: nel 2011 il 5,2% dei pensionati (861mila persone in tutto), che percepisce un assegno mensile superiore ai tremila euro, ha assorbito in tutto 45 miliardi, vale a dire il 17% della spesa previdenziale. Poco meno di quanto sborsato per i 7,3 milioni di italiani, il 44% del totale, il cui reddito non supera i mille euro al mese. Messa così sembra uno scandalo, in realtà - se uno su due non ha versato contributi adeguati al suo assegno - c'è da scandalizzarsi per il contrario. Alberto Brambilla - docente all'Università Cattolica di Milano, ex sottosegretario al Welfare e super esperto di previdenza - non usa mezze misure: «L'altra sera quando ho visto il TgLa7 dare certe cifre mi sono chiesto se c'è da avere più paura dei giornalisti che dei politici. Non si possono buttare cifre in faccia ai telespettatori senza spiegare come realmente stanno le cose, altrimenti si creano i presupposti di una guerra civile. Bisogna essere onesti nel dire che solo il 7,2% degli italiani mantiene, di fatto, il resto della popolazione», quelli che sono nel mirino in quanto dichiarano più di 60mila euro lordi all'anno. Ribaltiamo infatti, dal punto di vista delle entrate fiscali, i numeri diffusi tra domenica e lunedì dai telegiornali. «La prima sorpresa è che il 45,4% della tassa sulle persone fisiche è a carico del solo 7,2% dei 41,523 milioni di contribuenti. Ma le sorprese non finiscono qui», spiega Brambilla: «Poiché il numero dei contribuenti è appunto di 41.523.054, significa che abbiamo un dichiarante ogni 1.444 abitanti; c'è da supporre che siano prevalentemente persone a carico. Suddividendo per scaglioni di reddito, ben 14.112.749 contribuenti dichiarano fino a 10.000 euro e la metà circa di loro non arriva a 5.000 euro l'anno! Prima domanda: da quanto tempo dichiarano una cifra che non dovrebbe consentire una normale sussistenza? Togliamo pure i circa 5,3 milioni di pensionati la cui pensione è parzialmente o totalmente a carico dello Stato, restano pur sempre 8,77 milioni di soggetti. Considerando i redditi e le detrazioni d'imposta, ognuno di questi dichiaranti paga una imposta di 121 euro l'anno che diviene 84 euro considerando una parte della persona a carico. Tenendo conto della sola spesa sanitaria (circa 2.000 euro pro capite), questi primi 20.336 milioni di abitanti presentano una spesa di 40 miliardi - spiega il docente della Cattolica - che deve essere totalmente finanziata da altri contributori, come, del resto, l'intera differenza con la spesa pro capite totale (13.330 euro). I secondi 13.077.959 contributori (pari a 18.832.260 italiani), dichiarano tra 10 e 20 mila euro l'anno (la metà arriva a 15.000 euro) e versano una imposta netta annua di 1.693 euro, 1.175 euro considerando la parte a carico. Significa quindi - commenta l'ex sottosegretario -  che circa la metà della sola spesa sanitaria dovrà essere finanziata da altri contributori».  Vediamo chi sono allora coloro che tengono in piedi il welfare italiano. «Sono quel famoso 7,2% di contribuenti - rivela Brambilla - così composto: 1.694.568   dichiarano tra 40mila e 60mila euro, 602.188 tra i 60mila e gli 80mila, 284.602 tra 80mila e 100mila e i  394.327 che superano i 100mila di reddito annuo. Questi ultimi pagano una imposta annua media di 63.706 euro che equivale a 37,6 anni  di imposta pagata in media dai primi 27,2 milioni di contribuenti. Buona parte del 7,2% viene considerata “ricca” e quindi il pericolosissimo quanto ormai purtroppo diffuso detto “i soldi si prendono dove ci sono”   li sottopone a imposte sempre più alte senza contropartita di servizi. Quando la metà di italiani  - quella che non paga tasse, se non l'Iva o quelle indirette - andrà in pensione, chi pagherà? Sempre quel 7,2%, magari ulteriormente tosato. Ma se continuano a massacrare questo “popolo” è come se impedissero per le legge alle galline di fare uova». Un paio di esempi già dimostrano come i sacrifici siano a carico di chi non evade e dichiara tutto il suo guadagno. «Prendiamo un lavoratore con reddito di 100mila euro e uno di 25mila con moglie e figlio a carico. Al netto delle tasse e contributi - spiega Brambilla -  al primo restano (sulla base delle tasse medie indicate dall'Agenzia delle Entrate) circa 52.000 euro e  al secondo restano circa 20.000 euro; se poi entrambi iscrivono il figlio all'università pagheranno oltre 11 mila euro il primo e poco più di 1.000 il secondo; stessa cosa per la sanità dove il primo pagherà i ticket e il secondo probabilmente no e così via».  L'articolo 53 della Costituzione dice giustamente che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Certo è che, per colpa di un «fisco insensato, di questo passo  non ci sarà più nulla da distribuire, ancor meno  - conclude Brambilla - se dovesse passare l'idea di un'altra patrimoniale».  di Giuliano Zulin

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