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Bce e stampa, la rivolta contro Merkel ed euro

Angela Merkel

Andrea Tempestini
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Passano i mesi, la crisi evolve, cambia, si restringe, muta. Il grande protagonista di questi anni è mister Mario Draghi, lui e il suo bazooka: poche ore fa l'ultimo colpo, con l'ulteriore taglio al costo del denaro, ai minimi storici (l'approfondimento: ecco cosa cambia). L'altra grande protagonista di questi anni è Angela Merkel, la Cancelliera tedesca, massima teorica del rigore, burattinaia del Vecchio Continente quanto burattinaio, nella miglior accezione del termine, lo è Draghi. Dicevamo: passano i mesi, la crisi evolve. E si respira un'aria nuova attorno all'euro, o meglio attorno a una concezione di euro e di Europa, quella di Berlino, quella della Merkel. Si caricano le penne - Il verbo di Angela e l'esempio tedesco non sono più il totem che tutto decide e attorno a cui tutto gravita. C'è chi lo sostiene da tempo, che l'Europa dovrebbe essere meno, molto meno germanocentrica. Noi di Libero, per esempio. Ma anche il Pdl, parte della sinistra, economisti di fama mondiale, diversi antieuropeisti, il Movimento 5 Stelle, certa stampa. Ecco, la stampa. C'è anche una parte di stampa che contro la Germania non ha mai, o quasi, detto nulla. La sforbiciata del signor Draghi, però, ha caricato le penne di chi non aveva mai osato tanto. Tutto gravita attorno alle conseguenze del costo del denaro al minimo storico: ossigeno per l'Europa che arranca, una zavorra per l'Europa che corre, ovvero Berlino. Com'è dura con Berlino... - Sul Corriere della Sera di venerdì 9 settembre, Danilo Staino spiega perché la ricca Germania chiede interessi più alti. "Ha completamente recuperato i livelli precedenti la crisi del 2008". Dunque "Berlino avrebbe bisogno di tassi di interesse un po' più alti": la crescita dell'inflazione, infatti, è un presupposto necessario per l'ulteriore evoluzione di un'economia florida. Quindi si nota che "la divergenza di attività economica tra la Germania e il resto dell'eurozona è ai massimi da quando l'euro è nato". Dopo una lunga serie di puntuali considerazioni, la conclusione: "Ora il problema è a Berlino. Nell'euro, vivere senza la forte Germania è impossibile. Ma maledettamente difficile".  Il paradosso della Ue - Simile il tenore del fondo, su Il Sole 24 Ore, di Donato Masciandro, secondo il quale quello di Draghi è "un doppio segnale a mercati e politica". E se il segnale ai mercati è chiaro (ci si gioca tutto pur di agganciare la ripresa), quello alla politica, nel dettaglio, è rivolto proprio alla Germania, ossia ai "responsabili delle politiche economiche europee, nazionali e comunitarie". Il Sole 24 Ore ricorda che "la politica monetaria nulla può su tutte le divergenze e frammentazioni (...) che sono il frutto diretto o indiretto della incapacità di definire e mettere in atto le politiche strutturali di miglioramento della struttura dell'economia e del lavoro". Nella conclusione dell'editoriale si fa notare "il paradosso" di una Ue che "ha conti aggregati (...) come gli Stati Uniti, ma azzoppata dalle miopie nazionalistiche e settoriali". Ogni riferimento, pur non esplicito, alla Germania non è puramente casuale. Quel finlandese alla Bce - Terzo e ultimo punto della rassgna stampa è quello messo nero su bianco da Repubblica, dove Federico Fubini ci spiega che alla Banca centrale europea, con la decisione di Draghi, è stata messa in minoranza l'ala tedesca che risponde alla Merkel e a Berlino. Fubini ci parla della figura di Erkki Likanen, finlandese, "ago della bilancia della Bce". La sua posizione, "da una parte o dall'altra, segnala dove sta per girare il vento". E mister Likanen, "di fronte al rischio di deflazione sul fianco Sud dell'euro, e non solo lì, ha scelto ciò che la Bce poteva fare quattro mesi fa: un taglio del tasso principale a cui presta denaro alle banche". Con buona pace dei due esponenti tedeschi del board, per la prima volta finiti in minoranza su una decisione di tale importanza. Non se ne può più... - Il vento, insomma, sta cambiando. Non ci si riferisce soltanto alle parole di Enrico Letta, che ha promesso un semestre di presidenza europea improntato alla crescita, il che implica un cambio di direzione rispetto a quanto avvenuto fino ad oggi, dove il primo punto dell'agenda è sempre stato il rigore, e ciò proprio a discapito della crescita. Ci si riferisce anche alle posizioni di quella stampa, di quei pensatoi e di quelle firme che non avevano mai messo in discussione Berlino. La ripresa stenta, e servono misure drastiche, come quelle di Draghi. Sono in molti a dirlo adesso, chiaro e tondo. Quello che non dicono, ma lo lasciano capire, è che della Merkel, ora più che mai, si farebbe volentieri a meno. (an.t.)

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