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Cina, la trappola del debito di Pechino su porti e ferrovie: così Pechino si può comprare l'Italia

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Gino Coala
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L'accordo che la Cina sta stringendo con l'Italia, primo paese del G7 ad aderirà al progetto di Pechino della Nuova Via della seta, è solo l'ultimo passo di una marcia partita almeno cinque anni fa con un fiume di denaro speso in investimenti in circa 60 Paesi in tutto il mondo. La Cina promette di lanciare un sorta di "Piano Marshall" per l'Africa, integrare le economie di Europa e Asia con un grande piano di infrastrutture di trasporto sia via mare che via terra. È dal 2013 che ii cinesi iniettano nei mercati internazionali più di 700 miliardi di dollari per l'ammodernamento di porti e ferrovie. Soldi elargiti in forma di prestito ai Paesi che hanno aderito al progetto. Leggi anche: "Sono ca*** tuoi". Il presidente cinese in Italia? Feltri lo accoglie: "così, strepitoso I soldi cinesi hanno fatto gola a tanti, soprattutto a quei Paesi che ancora facevano fatica a rilanciare la propria economia dopo gli anni della crisi. Il modello di Pechino aveva stregato per il suo approccio pratico e immediato, soprattutto grazie alla totale assenza di ostacoli burocratici, grazie al potere immenso che il partito comunista cinese può esercitare in ogni sua emanazione governativa. Un partner commerciale come quello cinese si presentava da subito come ideale per tutti quei Paesi in via di sviluppo che fino a ieri faticavano a rispettare i vincoli imposti dai governi occidentali, che pretendevano garanzie per dare sostenibilità ai prestiti, rispetto dei diritti umani e lotta alla corruzione. Ai cinesi non interessa altro che chiudere l'affare, finché almeno il contraente non si rende conto di aver messo le testa dentro una forca. Parecchi Paesi, ricorda la Stampa, si sono indebitati in modo eccessivo e spesso insostenibile con Pechino, facendo così scattare la "trappola del debito" con i cinesi, pronti a riscattare le infrastrutture che hanno aiutato a costruire in caso di mancato pagamento del debito. Ed è così che dall'Asia all'Africa, decine di porti nevralgici e linee di comunicazione strategiche sono finite sotto il diretto controllo di società cinesi, quindi del governo di Pechino. Un rischio davanti al quale l'Italia dovrà tenere gli occhi aperti, cercando di non farsi prendere la mano e contenendo gli investimenti cinesi sotto il limite di guardia.

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