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Iva, Imu e deficit: dal governo una stangata da 11 miliardi

Tassa sui consumi, seconda rata sulla casa, tetto del 3%. E Letta e Saccomanni devono trovare anche altri 5-6 per tagliare il cuneo fiscale: pagheremo noi

Giulio Bucchi
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Quando si parla di miliardi come se fossero noccioline è facile inciampare. Il rischio è che se il titolare del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, non tirerà fuori dal cilindro dei conti pubblici, entro i prossimi 9 giorni, i mille milioni che servono a congelare l'aumento Iva dal 1 ottobre, a far un bel capitombolo possa essere proprio il governo. Tanto più che sabato il Corriere della Sera ventilava la mancanza di copertura per la seconda rata Imu. La scadenza per chi (prima casa) a giugno l'ha scampata, è fissata per tutti gli altri al 16 dicembre, giusto in tempo per smoccolare alla vigilia di Natale. E ad imprecare potrebbero essere gli italiani tutti, se risultasse vero che i quattrini per la seconda rata non ci sono.  Un brivido è corso sulla schiena di mezzo governo, tanto che si è scomodato il vicepresidente del Consiglio Angelino Alfano, per garantire che  «sull'Imu abbiamo già risolto. Diamo per già definitivamente risolto il problema, ovviamente a titolo completo, cioè fino a dicembre». Il ministro dell'Interno è ottimista, o almeno si sforza di apparire tale: «Noi siamo per non far aumentare l'Iva e crediamo possa essere un obiettivo condiviso dal governo e crediamo sia possibile trovare 1 miliardo nelle casse dello Stato per non aumentarla. Noi siamo la sentinella anti-tasse del governo e lavoriamo per non aumentare le tasse e la prima tassa da non dove aumentare adesso è l'Iva».  Gli fa eco il capogruppo Pdl alla Camera, Renato Brunetta, che non passa giorno per pungolare il ministro dell'Economia: ieri ha rispolverato la spending review («che fine ha fatto»), e anche le privatizzazioni (promesse e non ancora accennate) e, soprattutto, vuole avere il conto aggiornato sui pagamenti arretrati dello Stato alle imprese.  Come se non bastasse c'è da far quadrare i conti 2013 con l'Europa, e quello 0,1% in più è il segnale che forse si è speso troppo (o si è tagliato troppo poco). Per rientrare sotto il 3% nel 2013 il governo dovrà mettere insieme circa 1,5 miliardi.  A poco più di 90 giorni dalla fine dell'anno fiscale e di bilancio è difficile individuare azioni ed interventi che possano far quadrare i conti. La prossima settimana il governo tirerà fuori i 250-300 milioni che servono alla permanenza in Afghanistan dei nostri 3.100 militari. Poi c'è da rifinanziare la Cassintegrazione in deroga (almeno altri 600 milioni). Sempre che scoppi qualche altra crisi (finanziaria) da tamponare da oggi a Capodanno. E poi la seconda rata dell'Imu prima casa (2,4 miliardi) e appunto il miliarduccio per tamponare l'Iva. Senza dimenticare gli altri 5, 6 miliardi che a gennaio dovrebbe servire per tacitare imprenditori e sindacati e così avviare il taglio del cuneo fiscale. Allora 5 di impegni già assunti e altri 6 per mantenere quelli concordati a più riprese con Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Venerdì Giorgio Squinzi aveva dato dell'inguaribile ottimista a Saccomanni. Che in effetti ha inserito nel Documento di economia e finanza (Def triennale) una crescita del Pil italiano nel 2014 all'1%. Peccato che meno di 24 ore dopo, giusto ieri, il Fmi abbia limato le aspettative (0,7%). E se la ricchezza prodotta non c'è, le tasse diminuiscono in proporzione. Salvo farsi anticipare (come è già stato fatto con un artificio contabile degno di Paperopoli), da contribuenti e imprese le tasse future per pagare le spese passate.  Enrico Letta parte oggi per il viaggio di rappresentanza negli Stati Uniti e in Canada. Al ritorno, il 26, i tecnici del Tesoro dovranno offrirgli un ventaglio di opzioni. Salvo che il ragioniere che c'è nell'animo di ogni politico dal Dopoguerra ad oggi non si limiti a ritoccare le accise o le imposte sui tabacchi per chiudere la partita. E far galleggiare il governo. Fino alla prossima tassa o emergenza. di Antonio Castro

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