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Il nostro debito va a 2041 miliardiper aiutare greci e spagnoli

Franco Bechis
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Duemilaquarantunomiliardi e 300 milioni di euro. Il debito pubblico italiano ha toccato il suo ennesimo record alla fine del mese di aprile, aggiungendo altri 6,5 miliardi di euro al record precedente toccato a fine marzo. Per la prima volta la Banca d'Italia ha anche diviso le colpe: lo Stato centrale nel mese si è indebitato di 46,6 miliardi di euro, mezzo miliardo più dell'anno precedente. Non è tantissimo, ma lo diventa se si considera la pioggia di tasse incassata, che nel solo mese di aprile ammontava a 29,2 miliardi di euro, un miliardo e 100 milioni in più (più 3,9 per cento) rispetto agli incassi di aprile 2012. C'era da attendersi un minore ricorso all'indebitamento, che invece non c'è stato: aprile era un mese di fatto senza governo in carica, e così c'è stato chi ne ha approfittato un po'. Diminuisce invece di 2,5 miliardi rispetto a un anno prima l'indebitamento degli enti locali, che comunque è cresciuto di 200 milioni rispetto al mese precedente arrivando a 115,2 miliardi di euro. Ma il risultato è un mix fra il dato delle Regioni che è cresciuto in un anno di 6 miliardi di euro, e solo ad aprile di 1,37 miliardi di euro. In compenso è sceso il debito dei comuni in un anno da 51 a 45,5 miliardi di euro. Pil sofferente  Con il record in cifra assoluta l'Italia si avvia a sfondare - ed era nelle previsioni - la quota 130 nel rapporto fra debito e Pil. Lo farà ben prima della fine dell'anno, visto che il Pil scende più delle previsioni così come il debito cresce oltre le aspettative. Se la forbice sarà troppo ampia a breve, l'Italia rischia perfino di non uscire dalla procedura di deficit eccessivo nonostante i festeggiamenti già celebrati anzitempo da Enrico Letta e dal suo governo. L'allargarsi strutturale della forbice fra debito e Pil è infatti fra i fattori che non consentono quella uscita che ancora deve essere ratificata dal consiglio dei ministri economici dell'Unione europea (Ecofin) e poi dallo stesso consiglio di Europa a fine luglio.  Gran parte dell'aumento del debito pubblico nell'ultimo biennio però è dovuto essenzialmente all'Europa. L'Italia che finora ha avuto un aiuto indiretto dagli interventi sul mercato dei titoli di Stato da parte della Bce, è stata contributore netto dei vari fondi salva-Stati e salva-banche comunitarie immaginati (per i prestiti alla Grecia più volte ricontrattati, ma anche per gli aiuti a Spagna, Portogallo e Irlanda). Secondo il Def presentato ad aprile dal governo di Mario Monti quel tipo di interventi nel periodo 2011-2013 ha contribuito a fare crescere il debito pubblico italiano di una somma superiore ai 60 miliardi di euro (quegli interventi infatti vengono pagati attraverso l'emissione di particolari serie di titoli del debito pubblico).  Come è il terzo contributore Ue dietro Germania e Francia, l'Italia è anche il terzo salvatore dei paesi europei in difficoltà. Una posizione da grande azionista dell'Unione europea che vale solo però quando l'Italia deve aprire il portafoglio e scucire. Non quando avrebbe bisogno se non di un aiuto materiale, almeno di un aiuto politico. Non avendo chiesto sostegno finanziario né per i propri conti pubblici, né per il proprio sistema creditizio, l'Italia non ha ricevuto ovviamente aiuti diretti dai partner. Ma almeno un allentamento della rigidità sui parametri deficit-Pil, in cui Roma era stata assai più virtuosa di altri capitali, era da attendersi. I pugni sul tavolo  Certo sembra incredibile che il governo italiano non si metta a battere i pugni sul tavolo con forza davanti all'ipotesi di trovarsi nella grottesca situazione di essere addirittura punito per quell'eccesso di generosità verso Grecia, Spagna e gli altri, che ha mandato all'aria ogni piano per la riduzione del debito pubblico. L'argomento viene giù usato da tempo per rendere l'Italia di fatto commissariata come avesse chiesto un aiuto finanziario. Data l'evidenza della perdita di sovranità, era certamente meglio trovarsi in questa situazione con aiuti economici degli altri Paesi che avrebbero consentito al governo di mettere almeno un po' di benzina sul Pil. Non sarebbero stati possibili manovre di ribasso fiscale, ma almeno investimenti ed interventi per risvegliare il mercato del lavoro e la domanda di consumi. Sempre meglio del nulla con prospettive nulle a cui sembrano oggi rassegnati Letta e i suoi ministri.  di Franco Bechis  

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