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Ilva, si dimettono Ferrante, Bondi e De Iure. I sindacati: "Situazione allo sbando"

Il ministro dello Sviluppo Zanonato

Terremoto nell'azienda che farà ricorso contro il sequestro di 8 miliardi disposto dal Gip: "In Italia magistrati e parlamento fanno la guerra e l'industria muore"

Giulio Bucchi
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  Precipita nuovamente la situazione a Taranto: sono arrivate le ventilate dimissioni di Bruno Ferrante, presidente dell'Ilva, e degli amministratori delegati Enrico Bondi e Giuseppe De Iure. Lo ha comunicato una nota dell'azienda al termine del cda tenutosi sabato mattina a Milano. "Vista la gravità della situazione - si legge nel comunicato - e incidendo il provvedimento di sequestro anche sulla partecipazione di controllo di ILVA detenuta da RIVA FIRE, i Consiglieri, Bruno Ferrante, Enrico Bondi e Giuseppe De Iure hanno presentato le dimissioni dalle rispettive cariche", che saranno effettiva il 5 giugno giorno dell'assemblea dei soci.  Il ministro: "A rischio la siderurgia italiana" - La palla ora passerà al governo, che deve sbrogliare la matassa. Il ministro dello Sviluppo, Flavio Zanonato, a Sky Tg24 è stato chiaro: "'Se si ferma un'azienda di questo tipo possiamo dire addio a tutta l'industria siderurgica e avremmo problemi con l'industria meccanica''. L'obiettivo dell'esecutivo è uno solo: l'industria siderurgia "deve rimanere in Italia e dobbiamo fare di tutto, come governo, per farla rimanere". Ricorso contro il sequestro di 8 miliardi - La società ha annunciato ricorso contro il provvedimento del Gip di Taranto dello scorso 22 maggio con cui è stato disposto il sequesto di 8 miliardi e 100 milioni come risarcimento per i danni ambientali provocati secondo i giudici dallo stabilimento tarantino. "L'ordinanza dell'Autorità giudiziaria colpisce i beni di pertinenza di RIVA FIRE e in via residuale gli immobili di ILVA che non siano strettamente indispensabili all'esercizio dell'attività produttiva nello stabilimento di Taranto - si legge nella nota della società -. Per tali motivi il provvedimento ha effetti oggettivamente negativi per ILVA, i cui beni sono tutti strettamente indispensabili all'attività industriale e per questo tutelati dalla legge n.231 del 2012, dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale". Per l'ad dimissionario Bondi, i provvedimenti della magistratura "rivelano che in Italia il potere legislativo e l'ordine giudiziario agiscono su piani non comunicanti e conflittuali". "Una tale situazione  - conclude - non può che condurre a esiti drammatici per la nostra economia, già provata dalla crisi e da una endemica disoccupazione soprattutto al Sud". Lo stop alla produzione dell'Ilva metterebbe a rischio 40mila posti di lavoro tra diretti (24mila) e indotto. I sindacati: "Siamo allo sbando" - Immediati, e preoccupati, i commenti delle parti sociali. "Con le dimissioni del cda dell'Ilva, la situazione che riguarda il gruppo industriale rischia di finire allo sbando totale", è l'allarme di Marco Bentivogli, della segreteria nazionale della Fim Cisl. "E' giunta l'ora - aggiunge il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella - che il governo si assuma direttamente la responsabilità della gestione dello stabilimento Ilva di Taranto e di tutti gli altri siti del gruppo siderurgico". E mentre il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola si appella al premier Enrico Letta "affinchè convochi, già nella giornata di lunedì prossimo, un incontro a Palazzo Chigi di tutti i protagonisti sociali e istituzionali della vertenza Ilva", il segretario della Cgil Susanna Camusso parla di "notizia preoccupante" ma, sottolinea, "devono essere garantite la continuità di direzione degli stabilimenti e la continuità produttiva".    

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