Silvio-bond per pagare i debitidello Stato con le aziendeEcco la vera proposta-choc
Un grande prestito garantito dal patrimonio che si può privatizzare: una mossa che salverà le piccole e medie imprese e che solo Berlusconi può attuare
di Ugo Bertone Vi hanno pagato? La domanda è rivolta alle imprese, grandi o piccole, che hanno fornito beni o servizi alla pubblica amministrazione all'inizio del 2013. Il decreto del governo Monti, datato 9 novembre 2012, n. 192, che recepisce la direttiva 2011/7/Ue in materia di lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, prevede che lo Stato vi paghi in trenta giorni. Ma non agitatevi, cari imprenditori, se non vi è arrivato il bonifico: la stessa norma prevede che i termini di pagamento per le asl o gli ospedali raddoppiano a 60 giorni in barba alle raccomandazioni di Bruxelles, sacre solo quando si tratta di imporre nuovi tributi. Ma non è finita qui. Tutte le amministrazioni pubbliche possono, per legge, applicare la deroga nel caso «eccezionale» in cui la proroga «sia giustificata da circostanze esistenti al momento della sua conclusione». Insomma, la solita presa in giro dello Stato moroso, che predica bene ma razzola malissimo con i contribuenti. Chissà perché in campagna elettorale si parla poco di quest'emergenza che sta strozzando migliaia di imprese, soprattutto quelle piccole e medie che non godono di trattamenti di favore in banca né hanno la fortuna di poter compensare con lavori all'estero le inadempienze dello Stato italiano. Eppure, tra tante proposte più o meno geniali per riavviare la macchina dello sviluppo, nessuna è più semplice ed altrettanto efficace che questa regola valida fin dai tempi della Bibbia: paga i tuoi debiti. Provate a pensare l'effetto di un'iniezione di capitali (dovuti) nel tessuto economico, esausto, che si sta fermando vuoi per assenza di circolante vuoi per sfiducia nei pagamenti. Si sta parlando di una cifra attorno ai 90 miliardi circa, più di cinque punti di Pil, accumulata con ritardi che nei casi estremi arrivano a 1.500 giorni. Difficile immaginare una scossa più rapida e più diffusa, capace di trasmettersi all'occupazione. Già, ma chi paga? Che effetto può avere una manovra di queste dimensioni sul debito pubblico? In realtà, non si tratta di nuovo debito, bensì di oneri già conteggiati dagli analisti nel debito Italia. I mercati finanziari sono perfettamente consapevoli degli inghippi con cui lo Stato debitore ha cercato di ridurre l'impatto dei debiti, e che prima o dopo le fatture dovranno essere rimborsate. Ma sanno altrettanto bene che, a forza di scaricare sulle imprese i propri debiti, si sta rischiando di far chiudere migliaia e migliaia di aziende, ovvero l'unica vera garanzia per una ripresa effettiva: rimettere in moto gli investimenti di tante imprese, soprattutto piccole e medie, potrebbe infatti contrastare in maniera efficace la caduta del Pil, ovvero il tema che più preoccupa i creditori del Bel Paese. Certo, non è partita da poco mettere in moto una macchina in grado di creare una liquidità di quelle dimensioni. Ma qui sta il cambio di «passo politico» che finora non è emerso in questa campagna elettorale. La via maestra per un'operazione di questo impegno è l'emissione di un grande prestito garantito dal patrimonio che si può e si deve privatizzare, probabilmente con l'intervento ponte della Cdp. Le soluzioni tecniche per affrontare in tutto o in parte il problema esistono. L'importante è avere la volontà politica di fare quello che tutto, imprenditori, lavoratori e disoccupati chiedono: un intervento rapido e concreto per rimettere in moto la macchina dello sviluppo. Ma chi può fare un passo del genere? Difficile che l'iniziativa passi dall'area del centro-sinistra dove si torna a vagheggiare «il ruolo attivo della politica economica», compresi gli sprechi che ha comportato in passato. Un intervento automatico, non mediato dalla politica o dalla burocrazia non piace ad almeno una parte di quello schieramento. Monti? La povera Spagna, che non sta certo meglio di noi, ha affrontato e risolto il problema dei ritardi di pagamento nella scorsa primavera, quando il premier cominciava a vedere, beato lui, «la luce in fondo al tunnel». Una scossa di questo tipo può essere semmai congeniale alle ricette che si fanno strada nel centrodestra, dalla fantasia di Silvio Berlusconi, alla faccia dei rigoristi di Berlino e dei discepoli nostrani. È l'ora di battere un colpo, insomma. Anche perché la situazione è davvero tragica: nel 2012 il tempo medio è salito a 193 giorni, secondo un rapporto di Confartigianato dello scorso dicembre dal quale emerge che tra maggio e novembre 2012 il ritardo con cui gli Enti pubblici (Amministrazione centrale, Regioni e Province) saldano le fatture è aumentato di 54 giorni, con un maggior onere di 2,5 miliardi per le imprese. Complimenti.